AFGHANISTAN, LA RUSSA:
"VIA NON PRIMA DI 5 ANNI"
Quello italiano in Afghanistan non è un impegno a breve scadenza. Il rientro del contingente, ha annunciato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, avverrà «non prima di cinque anni. Non ho mai dato una data. Lo faccio per la prima volta. Ma il tempo è minimo di 5 anni». È necessario rimanere, ha spiegato il ministro, «per addestrare le forze armate e le polizia afgana, dare forza alle istituzioni legittime afgane in modo che noi non si debba andar via quando tutto è risolto, ma quando loro saranno in grado di fare da soli». Vicino, invece, il ritorno in Italia dei 400 militari di rinforzo inviati in occasione delle elezioni. Rientreranno, ha indicato il ministro, «entro Natale».
È ragionevole pensare, ha osservato, «che, finito il ballottaggio, comincerà gradualmente il rientro: questo significa che per Natale saranno a casa. Credo che l' intento del ballottaggio - ha aggiunto - sia giustissimo. L'intento è quello di offrire agli afghani un governo in grado di dare risposte e di essere credibile, legittimato dal voto popolare. Non si può pensare a nessun'altra soluzione se si vogliono sconfiggere i talebani. Il ballottaggio offre l'occasione per una normalizzazione del paese». E le operazioni di voto continueranno ad essere seguite dai militari italiani nella loro area di competenza (la regione Ovest del Paese). Proprio ad Herat pochi giorni fa è avvenuto il passaggio di consegne nel contingente, con la brigata Sassari che ha preso il posto della Folgore. A parere del ministro, in Afghanistan serve comunque un impegno maggiore non tanto dell'Italia che fa già il massimo, ma di altri Paesi che finora hanno contribuito con un numero esiguo di militari alla missione. «Nei miei colloqui dei giorni scorsi con il segretario della Difesa Usa, Robert Gates - ha puntualizzato - avevo auspicato che la richiesta del comandante di Isaf di avere più truppe venisse ascoltato e vedo che alcuni Paesi (come Albania e Slovacchia), quelli che avevano meno militari impegnati, si stanno muovendo in questa direzione. Questa può essere la strada giusta. Lo sforzo in Afghanistan - ha aggiunto - deve essere considerato fondamentale per tutti i Paesi della Nato ed anche per quelli extra Nato». Per una missione che rimane dunque in primo piano, ce ne è un'altra che sembra invece destinata ad un ridimensionamento. C'è, ha informato La Russa, «un'ipotesi di riduzione del contingente italiano impegnato in Libano e cederemo il comando della missione Unifil, anche se ancora non è stato deciso quando».
OTTOBRE, MESE PIU' LETALE PER USA - Ottobre è diventato il mese più letale, in otto anni di guerra in Afghanistan, per le truppe americane. L'uccisione di otto soldati Usa in due diversi attacchi nel Sud del paese ha portato a 56 il numero dei morti americani in ottobre, il più alto dal 2001. Mentre il presidente Barack Obama continua le consultazioni per giungere all'annuncio di una nuova strategia (ma non è stata ancora fissata una data) le notizie che rimbalzano negli Usa da Kabul non sono incoraggianti: mentre continua il bagno di sangue (già 278 americani sono stati uccisi dall'inizio del 2009, secondo i dati di icausalties.org) emerge la notizia delle dimissioni del primo funzionario Usa in Afghanistan, in segno di protesta per come è combattuta la guerra. Matthew Hoh, un ex Marine che ha prestato servizio anche in Iraq come soldato e come supervisore civile prima di essere inviato in Afghanistan, non ha preso la sua decisione a cuor leggero: ha riflettuto a lungo prima di scrivere la lettera di dimissioni. Una lettera articolata, che è stata letta con grande attenzione al Dipartimento di Stato e alla Casa Bianca, scritta da una persona che ha una profonda conoscenza della situazione in Afghanistan. «Capisco e confido negli obiettivi strategici della presenza degli Stati Uniti in Afghanistan - afferma la lettera di dimissioni, rivelata oggi dal quotidiano Washington Post -. Ma ho dubbi e riserve sulla strategia che stiamo attuando: non sul come, ma sul perchè». Secondo Hoh, che è stato per mesi nella provincia di Zabul (una delle roccaforti dei talebani), la presenza stessa delle truppe americane è un fattore che innesca la violenza: i locali vedono nei soldati Usa una forza di occupazione. L'inviato speciale per l'Afghanistan e il Pakistan Richard Holbrooke, dopo avere visto la lettera e dopo aver parlato con Hoh, ha cercato di convincere l'ex Marine ad accettare un nuovo incarico a Washington, nel suo team, ricevendo così la opportunità di influenzare in modo diretto la politica Usa sull'Afghanistan.
Anche l'ambasciatore americano a Kabul, Karl Eikenberry, ha tentato di convincere Hoh ad accettare un incarico nel suo staff, nella capitale afgana, invece di lasciare il Paese. «Mentre non condivido la sua opinione che la guerra in Afghanistan non vale più la pena di essere combattuta - ha osservato Holbrooke - Sono d'accordo con molti elementi della sua analisi». Secondo Hoh, è necessaria una presenza militare Usa più ridotta, fornendo nello stesso tempo più sostegno al Pakistan e accentuando le pressioni sul presidente Hamid Karzai per un governo meno corrotto. Sono alcune delle opzioni all'esame di Obama, che ha ribadito di non voler prendere 'decisioni affrettatè e ha promesso ai soldati che «non intendo mettere a rischio le vostre vite a meno che non sia assolutamente necessario». Ma l'aumento inesorabile dei morti americani in Afghanistan rende urgente l'annuncio di una nuova strategia da parte di Obama con l'ex vicepresidente Dick Cheney che già accusa la Casa Bianca di temporeggiare per paura di prendere una decisione.
"VIA NON PRIMA DI 5 ANNI"
Quello italiano in Afghanistan non è un impegno a breve scadenza. Il rientro del contingente, ha annunciato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, avverrà «non prima di cinque anni. Non ho mai dato una data. Lo faccio per la prima volta. Ma il tempo è minimo di 5 anni». È necessario rimanere, ha spiegato il ministro, «per addestrare le forze armate e le polizia afgana, dare forza alle istituzioni legittime afgane in modo che noi non si debba andar via quando tutto è risolto, ma quando loro saranno in grado di fare da soli». Vicino, invece, il ritorno in Italia dei 400 militari di rinforzo inviati in occasione delle elezioni. Rientreranno, ha indicato il ministro, «entro Natale».
È ragionevole pensare, ha osservato, «che, finito il ballottaggio, comincerà gradualmente il rientro: questo significa che per Natale saranno a casa. Credo che l' intento del ballottaggio - ha aggiunto - sia giustissimo. L'intento è quello di offrire agli afghani un governo in grado di dare risposte e di essere credibile, legittimato dal voto popolare. Non si può pensare a nessun'altra soluzione se si vogliono sconfiggere i talebani. Il ballottaggio offre l'occasione per una normalizzazione del paese». E le operazioni di voto continueranno ad essere seguite dai militari italiani nella loro area di competenza (la regione Ovest del Paese). Proprio ad Herat pochi giorni fa è avvenuto il passaggio di consegne nel contingente, con la brigata Sassari che ha preso il posto della Folgore. A parere del ministro, in Afghanistan serve comunque un impegno maggiore non tanto dell'Italia che fa già il massimo, ma di altri Paesi che finora hanno contribuito con un numero esiguo di militari alla missione. «Nei miei colloqui dei giorni scorsi con il segretario della Difesa Usa, Robert Gates - ha puntualizzato - avevo auspicato che la richiesta del comandante di Isaf di avere più truppe venisse ascoltato e vedo che alcuni Paesi (come Albania e Slovacchia), quelli che avevano meno militari impegnati, si stanno muovendo in questa direzione. Questa può essere la strada giusta. Lo sforzo in Afghanistan - ha aggiunto - deve essere considerato fondamentale per tutti i Paesi della Nato ed anche per quelli extra Nato». Per una missione che rimane dunque in primo piano, ce ne è un'altra che sembra invece destinata ad un ridimensionamento. C'è, ha informato La Russa, «un'ipotesi di riduzione del contingente italiano impegnato in Libano e cederemo il comando della missione Unifil, anche se ancora non è stato deciso quando».
OTTOBRE, MESE PIU' LETALE PER USA - Ottobre è diventato il mese più letale, in otto anni di guerra in Afghanistan, per le truppe americane. L'uccisione di otto soldati Usa in due diversi attacchi nel Sud del paese ha portato a 56 il numero dei morti americani in ottobre, il più alto dal 2001. Mentre il presidente Barack Obama continua le consultazioni per giungere all'annuncio di una nuova strategia (ma non è stata ancora fissata una data) le notizie che rimbalzano negli Usa da Kabul non sono incoraggianti: mentre continua il bagno di sangue (già 278 americani sono stati uccisi dall'inizio del 2009, secondo i dati di icausalties.org) emerge la notizia delle dimissioni del primo funzionario Usa in Afghanistan, in segno di protesta per come è combattuta la guerra. Matthew Hoh, un ex Marine che ha prestato servizio anche in Iraq come soldato e come supervisore civile prima di essere inviato in Afghanistan, non ha preso la sua decisione a cuor leggero: ha riflettuto a lungo prima di scrivere la lettera di dimissioni. Una lettera articolata, che è stata letta con grande attenzione al Dipartimento di Stato e alla Casa Bianca, scritta da una persona che ha una profonda conoscenza della situazione in Afghanistan. «Capisco e confido negli obiettivi strategici della presenza degli Stati Uniti in Afghanistan - afferma la lettera di dimissioni, rivelata oggi dal quotidiano Washington Post -. Ma ho dubbi e riserve sulla strategia che stiamo attuando: non sul come, ma sul perchè». Secondo Hoh, che è stato per mesi nella provincia di Zabul (una delle roccaforti dei talebani), la presenza stessa delle truppe americane è un fattore che innesca la violenza: i locali vedono nei soldati Usa una forza di occupazione. L'inviato speciale per l'Afghanistan e il Pakistan Richard Holbrooke, dopo avere visto la lettera e dopo aver parlato con Hoh, ha cercato di convincere l'ex Marine ad accettare un nuovo incarico a Washington, nel suo team, ricevendo così la opportunità di influenzare in modo diretto la politica Usa sull'Afghanistan.
Anche l'ambasciatore americano a Kabul, Karl Eikenberry, ha tentato di convincere Hoh ad accettare un incarico nel suo staff, nella capitale afgana, invece di lasciare il Paese. «Mentre non condivido la sua opinione che la guerra in Afghanistan non vale più la pena di essere combattuta - ha osservato Holbrooke - Sono d'accordo con molti elementi della sua analisi». Secondo Hoh, è necessaria una presenza militare Usa più ridotta, fornendo nello stesso tempo più sostegno al Pakistan e accentuando le pressioni sul presidente Hamid Karzai per un governo meno corrotto. Sono alcune delle opzioni all'esame di Obama, che ha ribadito di non voler prendere 'decisioni affrettatè e ha promesso ai soldati che «non intendo mettere a rischio le vostre vite a meno che non sia assolutamente necessario». Ma l'aumento inesorabile dei morti americani in Afghanistan rende urgente l'annuncio di una nuova strategia da parte di Obama con l'ex vicepresidente Dick Cheney che già accusa la Casa Bianca di temporeggiare per paura di prendere una decisione.
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