Animali minacciati nel Mondo.

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Utente Colossal
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7 Aprile 2009
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Animali minacciati nel Mondo.

I biologi stimano che oggi sulla Terra esistano tra i 5 e i 15 milioni di specie di piante, animali, microrganismi. Dei quali solo 1,5 milioni sono stati descritti e hanno un nome. Il totale stimato comprende circa 300.000 specie di piante e, per gli animali, tra i 4 e gli 8 milioni di specie di insetti, e circa 50.000 specie di vertebrati (dei quali circa 10.000 sono uccelli e 4.000 sono mammiferi).



Il panda gigante

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Il panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) è una specie scoperta di recente. Anche se noto da sempre ai cinesi, il panda gigante fu fatto conoscere agli occidentali solo nel 1869 dal gesuita naturalista francese padre Armand David (si chiama infatti anche "orso di Padre David"). Il primo panda gigante vivo arrivò in Occidente (Stati Uniti) solo nel 1937.

Prima assegnato alla famiglia degli orsi (Ursidi), poi per lungo tempo associato con il panda minore e il procione in quella dei Procionidi, da qualche anno il panda gigante è nuovamente considerato appartenente alla famiglia degli Ursidi. Questo strano orso ha il sistema digestivo tipico dei carnivori, ma molto tempo fa si adattò a una dieta vegetariana e nella forma attuale si nutre quasi esclusivamente di steli e foglie di bambù.

Legato alle foreste miste di bambù della Cina sud-occidentale, nelle province del Sichuan, Shan-si e Gansu, zone di vegetazione montana comprese tra i 1.800 e i 3.500 metri di altitudine e caratterizzate proprio dalla presenza di diverse specie di bambù, il panda è sempre stato considerato un animale raro, molto localizzato e in pericolo perché la sua alimentazione dipende strettamente dal bambù, di cui è molto ghiotto. Nascosto fra il fitto fogliame della foresta, il panda gigante mangia quasi tutto il tempo, fino a 14 ore al giorno, consumando da 12 a 14 kg di bambù dalle scarsissime proprietà nutritive.

Contrariamente a quasi tutti gli altri orsi, il panda gigante non va in letargo d'inverno. L'animale vive un'esistenza solitaria, incontrando i suoi simili solo occasionalmente. Durante la breve stagione degli accoppiamenti, in tarda primavera o all'inizio dell'estate, diversi maschi possono riunirsi e affrontarsi per la conquista di una femmina. La stagione dura circa sei settimane, ma ciascuna femmina va in calore per soli due o tre giorni.

La riproduzione e l'allevamento in cattività dei panda sono risultati molto difficili. Sono nati 20-30 piccoli panda negli zoo cinesi, che ne ospitano circa un centinaio (spesso è stata usata l'inseminazione artificiale), ma pochissimi negli zoo fuori dalla Cina. Attualmente ci sono circa 15 panda giganti solo negli zoo di Washington, Berlino, Madrid, Città del Messico, Parigi e Tokyo. I cuccioli di panda gigante pesano alla nascita da 90 a 130 grammi, ma un adulto può pesare oltre 100 kg. I cuccioli neonati hanno poco pelo e sono assai delicati: la mortalità infantile è elevatissima. Lo svezzamento ha luogo dopo sei mesi e la maturità viene raggiunta molto lentamente. La durata della vita è di 10-15 anni (anche oltre 20 in cattività, il record è 32 anni).


MINACCE

Le maggiori minacce per la sopravvivenza del panda gigante sono la distruzione del suo habitat e il bracconaggio per esportarne la pelle. L'esame di immagini riprese da satelliti ha evidenziato che l'habitat adatto a questa difficile specie è diminuito del 50% durante gli ultimi 15 anni, ed è ora ridotto a 11 mila kmq in sei aree isolate. La cattura accidentale in trappole poste per altri animali rappresenta un'altra importante minaccia.

Un’ulteriore grave problema per il panda gigante è la fioritura dei bambù. A intervalli regolari (da 10 a 100 anni, a seconda della specie) le piante di bambù fioriscono tutte insieme su grandi aree, e poi muoiono. Ci vuole circa un anno prima che germoglino di nuovo dai semi, ma possono passare 20 anni prima che la foresta possa nuovamente dare rifugio e nutrimento ai panda. In questi casi gli animali devono trasferirsi in altre zone dove i bambù non sono fioriti. Nel passato ciò non era un grosso problema, ma con l'espansione delle popolazioni umane, vaste aree di foresta sono state tagliate per lo sfruttamento agricolo dei terreni e gli spostamenti dei panda sono diventati difficili o addirittura impossibili.


L'Orso Polare

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Orso polare è tra i più grandi carnivori terrestri del mondo, tuttavia il suo nome latino (Ursus maritimus) ricorda che trascorre la maggior parte della vita dentro e intorno all'acqua. Orso polare è un nuotatore provetto e può raggiungere una velocità di 10 km/h usando le zampe anteriori come remi mentre quelle posteriori fungono da timone. L'habitat preferito dell' orso polare è il ghiaccio, quel ghiaccio che copre i mari artici per la maggior parte dell'anno. È qui che l' orso polare caccia e si riproduce.

L'habitat dell' orso polare
Si stima che esistano circa 20-25 mila orsi polari in tutto il mondo (divisi in 19 popolazioni) di cui il 60% solo in Canada. Sono state rilevate tracce fino al Polo Nord, ma gli scienziati ritengono che pochi orsi si spingano oltre gli 82° di latitudine nord. Gli orsi polari sono diffusi in tutto l'Artico circumpolare, Stati Uniti, Canada, Russia, Groenlandia e sulle isole artiche della Norvegia, su banchise, lungo o vicino le coste e sulle isole. Condividono questo habitat con le popolazioni indigene e animali, quali le foche degli anelli, le volpi artiche, i narvali, le balene beluga e milioni di uccelli migratori.

L' orso polare ha bisogno delle banchise per sopravvivere...
Il Mar Glaciale Artico offre poco cibo per il nutrimento di questa specie. Gli orsi polari trascorrono gran parte del tempo vicino, o sui margini delle banchise. È qui che hanno maggiori possibilità di trovare cibo. Durante l'estate, man mano che il bordo meridionale della calotta glaciale artica si scioglie, alcuni orsi seguono il ghiaccio che si ritira verso nord, per rimanere vicini alle foche e alle altre prede. Altri orsi trascorrono invece le loro estati a terra, alimentandosi con il grasso corporeo accumulato durante le fruttuose cacce primaverili e invernali.

...ma con gli effetti del riscaldamento globale, le banchise si riducono
Durante l'autunno, quando il ghiaccio ritorna, gli orsi abbandonano la terraferma per riprendere la loro vita sulle banchise. Il livello sempre crescente della concentrazione dei gas effetto serra nell'atmosfera sta causando l'aumento delle temperature in tutto il globo. Di conseguenza, le banchise dell'Artico si stanno sciogliendo prematuramente, formandosi sempre più tardi ogni anno che passa. Gli orsi polari hanno quindi meno tempo a disposizione per procacciarsi il cibo. Mentre il loro habitat si riduce, gli individui che vivono ai margini meridionali dell'Artico (specialmente nella zona di Hudson Bay, Canada) si trovano ad affrontare una grave minaccia alla loro sopravvivenza. All’attuale ritmo di riscaldamento climatico, gli esperti prevedono che entro il 2080 ad Hudson Bay non vi sarà più ghiaccio.


Pinguini Antartici

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Il pinguino imperatore e il pinguino di Adelia sono le uniche due specie di pinguini che vivono unicamente nel continente antartico. Loro habitat naturale sono infatti le acque antartiche ricoperte di ghiaccio marino durante gran parte dell’anno. Ma gli scienziati temono per la loro sorte: secondo gli ultimi studi, infatti, un aumento della temperatura di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali (possibile entro i prossimi 40 anni!) porterebbe una diminuzione del 50% delle colonie di pinguino imperatore e ben del 75% di quelle di pinguino di Adelia.


Attualmente circa il 50% delle colonie di pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri) e il 75% di quelle di pinguino di Adelia (Pygoscelis adeliae) vivono a cavallo del settantesimo parallelo sud: queste colonie rappresentano rispettivamente il 40% e il 70% della popolazione mondiale di ognuna delle due specie. La significativa riduzione di ghiaccio marino antartico prevista dagli scienziati nel periodo 2025-2070 potrà avere effetti assai negativi per suddette colonie. L’unico modo per diminuire significativamente i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici in Antartide, la regione dove la temperatura è aumentata più che altrove nel mondo, consiste nella riduzione delle emissioni globali di gas serra. Gli effetti dei cambiamenti climatici, del resto, sono già drammatici: negli ultimi decenni si è dimezzata la popolazione di pinguino imperatore a Pointe Geologie, mentre le colonie di pinguino di Adelia sono diminuite del 65% negli ultimi 25 anni.


I Grandi Felini

Il leone (Panthera leo) è il felino più sociale del mondo. Il leone, una volta, era una presenza comune e diffusa nei grandi spazi aperti africani: la sua popolazione, infatti, fino alla metà degli anni ’90 era stimata in un numero massimo di circa 100 mila esemplari mentre oggi è drasticamente ridotta a non più di 30 mila. Questo significa che anche i leoni sono ormai una specie a rischio di estinzione! In Asia, dove è da molti anni ormai in grave pericolo di estinzione, il leone vive nell'India's Gir Forest Reserve. Le ricerche del WWF e l'azione del governo del Gujarat hanno fatto si che la popolazione di questo animale sia aumentata da 177 a 300 unità dal 1968 a oggi. Ora si parla di ampliare ulteriormente il santuario.


Oggigiorno meno di 6 mila tigri (Panthera tigris) abitano le foreste e le pianure dell'Asia, e il loro numero sta ulteriormente decrescendo. La minaccia più immediata sta nell'indiscriminato bracconaggio per le loro ossa e altre parti del corpo che vengono usate per medicine tradizionali nell'estremo oriente. Il WWF sta cercando di fermare la catastrofe e proteggere le tigri in Cina, India, Indonesia, Malesia, Russia, Tailandia e Vietnam.


Il giaguaro (Panthera onca) è minacciato dalla distruzione della foresta pluviale. A partire dal 1986, il WWF ha cominciato a sovvenzionare il Cockscomb Basin, un area protetta in Belize, nella quale vivono circa 200 giaguari. Il WWF ha inoltre investito fondi per la protezione del giaguaro nella vasta regione di Pantanal, in Brasile. Il giaguaro è il più grande felino americano e attualmente ne sopravvivono circa 50 mila esemplari in America centrale e meridionale, e in Messico. Altre popolazioni si trovano in Brasile, Venezuela e Colombia. Lungo fino a 2 metri e pesante anche 90 chilogrammi, il giaguaro conduce vita solitaria, è cacciatore opportunista e si ciba di 85 specie animali, tra cui tapiri e cervi.

Le popolazioni di molte specie di grandi felini stanno diminuendo e il loro habitat si sta riducendo drammaticamente. All'espandersi degli insediamenti umani e delle terre coltivate le prede diventano sempre più scarse. Questa tendenza costringe i felini selvatici a uccidere e nutrirsi degli animali da allevamento facendo infuriare agricoltori e contadini. Questi ultimi, costretti a proteggere i loro investimenti, prendono contromisure repressive nei confronti dei felini selvatici. Si tratta di un circolo vizioso difficile da arrestare.

I grandi felini sono anche cacciati illegalmente per le loro pelli o per essere esibiti come trofei. Il picco di questo commercio internazionale si raggiunse negli anni '60 e '70 e fu una delle cause maggiori del decremento della popolazione di diverse specie. Anche se la Convention on International Trade in Endangered Species (CITES) ha proibito molti di questi commerci, un commercio legale relativamente piccolo persiste ai giorni nostri.


Elefante

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Elefante africano, il più grande animale terrestre, ed elefante asiatico, vivono sul nostro Pianeta da 5 milioni di anni: sono i soli sopravvissuti di un gruppo di mammiferi una volta molto diffuso, l'ordine dei Proboscidati.

Gli elefanti che vediamo oggi vivono sul nostro Pianeta da 5 milioni di anni, sono i soli sopravvissuti di un gruppo di mammiferi, una volta molto diffuso, l'ordine dei Proboscidati, che produsse più di 300 specie diverse in un periodo di 50 milioni di anni. I rappresentanti superstiti sono due: elefante africano (Loxodonta africana) ed elefante asiatico (Elephas maximus).

La specie di elefante africano è la più grande, e rappresenta il più grosso mammifero terrestre vivente sul nostro Pianeta. Il maschio di elefante africano può superare i 3 m al garrese, essere lungo oltre 7 m e pesare più di 6 tonnellate (il più grosso misurato, ucciso in Angola nel 1955, misurava 3,81 m e pesava oltre 10 tonnellate). Le femmine di elefante africano sono alte da 2,20 a 2,60 m e pesano 2,1-3,2 tonnellate.

Caratteristica degli esemplari di elefante africano sono le zanne d'avorio e la proboscide prensile. Le zanne (tusks) sono i denti incisivi superiori, che nei vecchi maschi possono arrivare a 2-3 m di lunghezza (le zanne record, provenienti dallo Zaire, si trovano presso la Società Zoologica di New York e misurano 3,50 m la destra e 3,35 m la sinistra). Sono costituite da dentina, materiale cartilaginoso e sali di calcio. L' elefante africano le usa per scortecciare gli alberi o scavare radici, e negli incontri sociali sono esibite come segno di possanza o usate come armi. Gli elefanti hanno anche quattro molari, che vengono cambiati diverse volte nel corso della vita.

La proboscide combina insieme naso e labbro superiore e li trasforma in un singolo organo che è in grado di toccare, afferrare e odorare. E' tanto forte da sradicare un albero, così sensibile da prendere un frutto della dimensione di un pisello, e abbastanza lungo da raggiungere l'alto fogliame degli alberi. La proboscide serve anche a bere, aspirando l'acqua e soffiandola poi in bocca, serve a salutare, carezzare, minacciare e a gettare polvere sul corpo per prevenire le scottature solari e le punture degli insetti. Altra caratteristica di un elefante africano sono le enormi orecchie, usate anche per rinfrescarsi. I giganteschi padiglioni (nell' elefante africano possono arrivare a 2 metri quadrati) sono forniti di una fitta rete di vene, nelle quali il sangue si raffredda anche di 5°C quando l'animale li sventola.

Gli elefanti generalmente vivono in piccoli gruppi familiari, da 5 a 15 madri con i loro piccoli e figli giovani. Questi gruppi sono guidati dalla femmina più anziana e più esperta, la "matriarca". Le figlie femmine restano col gruppo, i maschi lo lasciano al raggiungimento della pubertà e formano gruppi di soli maschi. Se il gruppo cresce troppo, possono formarsi sottogruppi separati di giovani femmine.

La gestazione dura 22 mesi, al termine dei quali nasce un solo piccolo, alto intorno al metro e pesante circa un quintale, che viene allattato per 3-4 anni. Succhia il latte con la bocca (non con la corta proboscide) dalle due mammelle poste fra le zampe anteriori della madre. La femmina comincia a riprodursi a 10 anni e può dare alla luce un piccolo ogni 4 anni circa, con la massima fertilità fra 25 e 45 anni. La durata potenziale della vita è di 70 anni. Importantissimi sono i legami familiari e di gruppo. Sono stati spesso visti elefanti che cercavano di aiutare compagni feriti, anche di fronte al pericolo. La partoriente è aiutata dalle altre femmine. La matriarca allarga le orecchie come segnale per formare una linea difensiva intorno agli elefantini.


Rinoceronte

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Il rinoceronte si trova solo in Africa e in Asia, e le 5 specie attualmente esistenti sono le discendenti delle oltre 30 specie che vivevano sulla Terra più di 60 milioni di anni fa.

Le 5 specie di rinoceronte odierne sono le discendenti delle oltre 30 specie che vivevano sulla terra più di 60 milioni di anni fa. Il rinoceronte si trova solo in Africa e in Asia, e tutte le specie sono minacciate di estinzione secondo diversi gradi di minaccia. La richiesta da parte dell'uomo del corno di rinoceronte come medicinale tradizionale in estremo oriente o come materiale per manici di pugnali nello Yemen ha dato luogo a un intenso bracconaggio. Non restano oggi che poco più di 15 mila esemplari di rinoceronte allo stato libero in tutto il mondo mentre alla fine degli anni '70 se ne stimavano 80 mila (la maggior parte dei quali di rinoceronte nero africano).


MINACCE - IL COMMERCIO DEI CORNI

La richiesta del corno per medicinali in estremo Oriente è alla radice della quasi estinzione dei tre rinoceronti asiatici. L'ultimo rinoceronte in Cina fu ucciso più di mille anni fa. La medicina tradizionale cinese usa il corno di rinoceronte per curare la febbre e altri malanni come epilessia, malaria, avvelenamenti e ascessi. Fino a pochissimi anni fa gli occidentali erano scettici su queste proprietà curative, ma studi effettuati a Hong Kong hanno provato che il corno di rinoceronte può abbassare la febbre. Sui mercati orientali il corno dei rinoceronti africani viene pagato da 2 a 3 dollari al grammo, ma quello dei rinoceronti asiatici, più compatto, arriva a costare da 22 a 66 dollari al grammo (quindi da due a quasi sei volte il prezzo dell'oro).

Tuttavia, la richiesta per usi medici non è l'unica minaccia per i rinoceronti. Nello Yemen, un manico di corno di rinoceronte intagliato su una "jambiya", il tradizionale pugnale ricurvo, è uno status symbol per gli uomini. La ricchezza portata dal petrolio ha fatto aumentare questa moda degli anni '70, contribuendo all'uccisione del 90% dei rinoceronti in Kenya, Tanzania e Zambia, e alla loro estinzione in altri 7 paesi. Sembra che le importazioni di corno di rinoceronte nello Yemen siano diminuite negli ultimi anni. La recente adesione dello Yemen alla CITES (1997) fa sperare che cessino del tutto. La CITES elenca dal 1977 tutte le specie di rinoceronte nell'Appendice I, che vieta il commercio internazionale degli animali, loro parti e prodotti. Tutti i paesi di Africa e Asia in cui i rinoceronti vivono ne vietano la caccia per il commercio dei corni.

Nonostante ciò il bracconaggio è continuato indisturbato e le popolazioni sono scese a livelli critici. Dalla fine degli anni '80 la Namibia prima e poi lo Zimbabwe hanno iniziato l'operazione del taglio dei corni ai rinoceronti narcotizzati. Sebbene in principio questa pratica sembrava essere un deterrente contro il bracconaggio, purtroppo a medio e lungo termine sembra inefficace. Prima di tutto i corni ricrescono di alcuni cm all'anno (sono di cheratina, come unghie e peli) e l'operazione deve essere ripetuta ogni 2-3 anni al costo di circa milla dollari per animale e non sempre i fondi sono disponibili. Inoltre i bracconieri che seguono per giorni le tracce di un animale, uccidono lo stesso un individuo senza corno per evitare di seguire di nuovo invano le tracce. Infine sembra che la mancanza del corno comprometta le performance riproduttive dei maschi in quanto meno competitivi nelle lotte pre-nuziali.
Già dalla Conferenza degli Stati parte della CITES del 1994, gli Stati in cui vivono i rinoceronti e i consumatori di prodotti hanno deciso di rafforzare le leggi di tutela e i controlli sull'applicazione, oltre a promuovere alternative ai farmaci a base di corno. Nella stessa Conferenza è stato concesso al Sudafrica di esportare rinoceronti bianchi vivi (l'unica specie in aumento) in altre aree protette, e i trofei derivanti dagli abbattimenti selettivi, per finanziare progetti di conservazione.


Bisonte europeo

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Il bisonte europeo viveva in modo compatibile con l'uomo primitivo, poi il progressivo disboscamento e l'accanita caccia cominciarono a provocarne la rarefazione e successiva scomparsa. Oggi si contano solo 3.200 esemplari di bisonte europeo.

Il bisonte europeo (Bison bonasus), come la maggior parte dei bovini, è un animale gregario, ma, anche a causa del suo ambiente forestale, non arriva mai a formare branchi di più di qualche decina di individui. Il suo stretto parente, il bisonte americano (Bison bison), invece, abitatore di sconfinate praterie aperte, si riuniva in branchi immensi di migliaia e migliaia di esemplari. Il bisonte europeo è simile per forma e dimensioni a quello americano (erroneamente chiamato dai primi coloni "buffalo", nome che è ancora largamente usato negli Stati Uniti e in Canada): se ne differenzia solo per il corpo un po’ meno tozzo e per la testa meno massiccia, oltre che per altre caratteristiche meno evidenti.
Un maschio adulto di bisonte europeo può arrivare a 3,50 m di lunghezza più mezzo metro di coda, 2 m di altezza al garrese e una tonnellata di peso. Le femmine sono di un terzo-un quarto più piccole. In agosto-settembre i maschi di bisonte europeo si avvicinano ai branchi delle femmine e ingaggiano violenti combattimenti, lanciandosi l’uno contro l’altro a testa bassa e spingendosi poi furiosamente testa a testa. La maturità sessuale viene raggiunta da entrambi i sessi già dopo il secondo anno di vita. La gestazione del bisonte europeo dura nove mesi circa, al termine dei quali nasce un solo vitello (raramente due), del peso di circa 40 kg, e che viene allattato dalla madre oltre i sei mesi. La durata media della vita è di 20-25 anni.
In natura, il bisonte europeo è praticamente privo di veri nemici naturali. E’ difficile che un branco di lupi riesca a isolare e abbattere qualche giovane esemplare, e l’orso, predatore solitario, difficilmente si arrischia a sottrarre un piccolo alla madre. Splendidamente adattati a resistere anche agli inverni più rigidi e nevosi, i bisonti europei si muovono con sicurezza nella coltre di neve, senza affondare troppo grazie all’ampia superficie dei loro zoccoli, e si accontentano di un’alimentazione frugale a base di cortecce, licheni e poche erbe ingiallite. Nella penombra della foresta, i bisonti si muovono lentamente, soprattutto all’alba e al tramonto, nutrendosi, quando non vi è il gelo, di erbe e felci, fronde e ramoscelli, muschi e licheni e persino della tenera scorza degli alberi.


Gorilla

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In tutti i paesi in cui vivono i gorilla, le leggi ne vietano caccia e cattura, ma la mancanza di fondi e l’inaccessibilità degli habitat, ne rendono impossibile una seria applicazione.

Il gorilla vive nelle foreste dell’Africa equatoriale. Fino a non molto tempo fa il gorilla era considerata una singola specie con 3 sottospecie. Attualmente la classificazione del gorilla comprende una specie (con 2 sottospecie) più abbondante, presente nelle pianure dell’Africa occidentale, con circa 110 mila individui.

Si tratta del gorilla di pianura occidentale (Gorilla gorilla gorilla), che vive in Congo (44 mila individui), Gabon (43 mila), Camerun (12 mila), Repubblica Centrafricana (9 mila) e Guinea Equatoriale (3 mila), più un centinaio nella Nigeria sud-occidentale e pochissimi in Angola (localizzati solamente nell’enclave di Cabinda a nord del fiume Zaire) e del gorilla di Cross River (Gorilla gorilla diehli) che vive al confine tra Camerun e Nigeria. Questa popolazione, scoperta nel 1904 e poi ritenuta estinta è stata rinvenuta solo alla fine degli anni ’80. Ne restano tra 150 e 200 individui.


L’altra specie vive in una piccola parte dell’Africa centro-orientale, a circa mille chilometri di distanza dalle popolazioni di quello di pianura. Comprende la sottospecie Gorilla beringei beringei noto come gorilla di montagna, localizzato sulla catena montuosa di vulcani spenti del Virunga, al confine tra Ruanda, Uganda e Congo con appena 300 individui; il gorilla di Grauer (G. b. graueri) che vive in Congo con una popolazione di almeno circa 5 mila individui (anche se mancano stime accurate) e infine una popolazione (forse una sottospecie) di circa 200 individui che vive nella foresta "impenetrabile" di Bwindi fra Uganda e Congo.


I gorilla hanno una struttura sociale sviluppata, vivono e si spostano in gruppi familiari da 2 a 35 individui, di norma 5-10. La composizione del gruppo è variabile, anche fra le sottospecie: nel gorilla di montagna (quello più studiato e più accuratamente censito, fin dagli anni ‘50) normalmente vi è un solo maschio "silverback" dominante, tre femmine adulte e 4-5 piccoli e giovani. Il gorilla maschio può arrivare a 1,75 m di altezza (2,30 m nella posizione innaturale eretta) e oltre 200 kg di peso. La femmina è più piccola e pesa circa la metà del maschio. Occupando un territorio da 5 a 30 kmq , i gorilla sono essenzialmente erbivori, nutrendosi di steli, germogli e frutta, talvolta corteccia e invertebrati (centinaia di cibi diversi).

Quasi tutte le femmine alla maturità sessuale (7-8 anni) lasciano il gruppo in cui sono nate per unirsi ad altri gruppi o a maschi singoli, ma si riproducono vari anni più tardi. I maschi maturano più tardi delle femmine e in genere non si riproducono prima dei 15 anni di età. L’alta mortalità infantile, la lunga gestazione (251-295 giorni), le nascite quasi sempre singole e il lungo periodo di cura materna portano in media all’allevamento di un piccolo ogni 6-8 anni. La durata della vita è sui 30-40 anni, ma in cattività un esemplare è arrivato a 55.

A conferma della vicinanza con la specie umana, una recente ricerca è riuscita a documentare l'utilizzo, da parte dei gorilla allo stato libero, di strumenti: un bastone per verificare la profondità di uno stagno prima di attraversarlo, un bastone per appoggiarsi durante la raccolta di frutti o per attraversare un terreno fangoso (su PloS Biology, in inglese, anche con foto) .


MINACCE

Le maggiori minacce per i gorilla sono la perdita e il degrado del loro habitat e l’uccisione diretta per vari motivi. Le foreste africane sia in pianura che in montagna vengono distrutte per far posto alle coltivazioni e agli allevamenti. In Africa occidentale vi è anche un intenso taglio delle foreste per il commercio del legname e per le ricerche e sfruttamento del petrolio. Il commercio di gorilla vivi per zoo e circhi è sostanzialmente declinato da quando la specie è stata inclusa nell’Appendice I della Convenzione di Washington CITES. Trattandosi di animali sociali possono essere uccisi fino a 18 animali per catturare un piccolo!

Purtroppo ancora oggi ogni anno molti gorilla vengono uccisi dalle popolazioni locali per nutrirsi delle loro carni. Negli ultimi anni il bracconaggio si è ulteriormente diffuso: al consumo locale si è aggiunto il commercio di carne di gorilla (bushmeat trade), ma anche scimpanzé, antilopi e altri animali di foresta verso i mercati occidentali.

Molti gorilla cadono anche vittime di lacci e trappole posti per antilopi e altri animali. La ripresa delle ostilità belliche in Ruanda, Congo, Angola e negli altri paesi del centro Africa sta causando significative perdite fra i gorilla di montagna, e i centri di ricerca (fra cui quello famoso di Karisoke fondato da Dian Fossey) sono stati abbandonati dal personale e invasi dalle truppe e dai profughi. La forte crisi sociale ed economica scatenata dalla guerra civile e dalla povertà inarrestabile sta causando gravissimi danni anche a questa specie.

In tutti i paesi in cui vivono i gorilla, le leggi ne vietano caccia e cattura, ma la mancanza di fondi e l’inaccessibilità degli habitat, ne rendono impossibile una seria applicazione.


I Lemuri

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Crediamo di conoscere veramente tutti i segreti dei lemuri? Nonostante siano mammiferi e quindi animali di una certa taglia, di lemuri se ne continuano a scoprire nuove specie: solo nell'ultimo decennio ne sono state scoperte 6 nuove!


Ciò che sorprende dei lemuri è il fatto che, nonostante siano mammiferi e quindi animali di una certa taglia, se ne continuano a scoprire nuove specie. Soltanto in questi ultimi dieci anni sono state scoperte 6 nuove specie di lemuri e le altre sorprese non mancheranno certo dal venire, fermo restando gli sforzi di conservazione degli habitat malgasci, minacciati quotidianamente dalla presenza dell’uomo.

Quando l'isola di Madagascar si staccò da quell'enorme continente chiamato Gondwana, e si mosse verso il futuro Oceano Indiano per piazzarsi a circa 400 chilometri dal continente africano, da cui è separata dal Canale di Mozambico, portò con sé fauna e flora che, completamente isolate, presero nuove strade evolutive. Questa situazione fu interrotta dall'arrivo dell'uomo in tempi storici.

Il Madagascar è per grandezza la quarta isola al mondo (dopo Groenlandia, Papua Nuova Guinea e Borneo) che annovera tra i suoi animali e piante alcune delle creature più straordinarie e bizzarre che l'uomo abbia mai visto. Il gruppo di animali più caratteristico della fauna malgascia è quello dei lemuri o proscimmie (cioè "antenati delle scimmie"), che qui hanno avuto uno sviluppo straordinario, anche se le 51 tra specie e sottospecie a oggi classificate sono solamente i resti di un grandioso gruppo che annoverava anche i lemuri giganti (grossi come scimpanzè) che dominavano la fauna insulare.

Animali di grandezza compresa fra quella di un criceto dorato e quella di una volpe, lunghi dai 9 cm del microcebo murino pigmeo (il più piccolo dei Primati) ai 90 cm dell'indri (Indri indri), hanno mani e piedi simili a quelli delle scimmie, ma con un artiglio al secondo dito del piede che serve alla pulizia del corpo. Il pelo è quasi sempre soffice e lanoso, gli occhi sono molto grandi, soprattutto nelle forme notturne. L'udito è ben sviluppato e il padiglione auricolare è spesso grande, mentre l'olfatto è meno perfezionato. Il numero dei piccoli nati varia da 1 a 3, che vengono portati dalla madre attaccati al ventre o allevati nel nido.


MINACCE

Lemures erano chiamati dagli antichi Romani gli spiriti dei defunti: benchè i lemuri del Madagascar non abbiano nulla di spettrale, il nome delle anime dei morti dei Romani fu dato loro dagli esploratori francesi che li scoprirono, per i loro occhi che brillano nell'oscurità e per le loro voci spesso molto acute. Ma i lemuri rischiano di restare veramente solo spiriti: con 39 tra specie e sottospecie "minacciate" (CR-Critically Endangered, EN-Endangered, VU-Vulnerable) su 51, pari al 76,5% di quelle totali, costituiscono oggi forse il gruppo di animali maggiormente in pericolo.

La loro progressiva scomparsa, insieme a quella di molti altri elementi caratteristici e unici di fauna e flora malgasce (talora ancora prima di essere scoperti e studiati), è dovuta alla distruzione delle foreste operata dall'uomo nel breve giro di uno o due secoli, e che in particolare ha assunto, in quest'ultimo secolo, dimensioni catastrofiche.

Già nel 1921 non restava che un ottavo della superficie coperta da vegetazione forestale autoctona e da allora è scesa ancora, fino a meno di un decimo dell'estensione originaria. Tutto il resto è stato distrutto dal fuoco, dalle coltivazioni, dai tagli boschivi, lasciando il posto a savane e aride boscaglie, dove il pascolo eccessivo impedisce la ripresa della vegetazione, e l'erosione mostra i suoi effetti in buona parte dell'isola. Ciò è dovuto anche all'inarrestabile crescita della popolazione umana del Madagascar, passata da 7 milioni nel 1970 a oltre 12 milioni nel 1993, e a quasi 15 milioni nel 1995, con un tasso di crescita annuo del 3,3%.


Foca Monaca del Mediterraneo

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La foca monaca del Mediterraneo è una delle specie animali maggiormente minacciate d'estinzione al mondo: le stime della popolazione superstite indicano oggi un numero complessivo di circa 350-400 individui, distribuiti in piccoli nuclei tra le isole greche, le coste mediterranee della Turchia e il Mar Nero. La sopravvivenza della foca monaca del Mediterraneo è da imputare alla sua capacità di continuare a sopravvivere e riprodursi, tenendosi nascosta agli sguardi di pescatori e turisti.


La foca monaca (Monachus monachus) è un mammifero i cui arti sono trasformati in pinne: il corpo è affusolato e rivestito da uno strato adiposo con pelo corto impermeabile all’acqua, di colore nero o marrone. Un tempo la foca monaca era diffusa in tutto il bacino del Mar Mediterraneo, il Mar Nero le coste atlantiche di Spagna, Portogallo, Marocco, Mauritania, Madeira e le Canarie ma oggi è uno degli animali più a rischio del Pianeta.

La foca monaca è estremamente sensibile alla presenza dell’uomo. La specie mediterranea è ridotta a un numero di circa 400 individui ed è distribuita in piccoli gruppi su un areale molto vasto che abbraccia tutto il bacino del Mediterraneo e le coste della Mauritania. Ci sono ancora circa mille esemplari di foca monaca nelle Hawaii, suddivise anch’esse in piccoli gruppi riproduttivi, ma il loro numero diminuisce vistosamente ogni anno di più.

La prima registrazione storica di un pinnipede, almeno in occidente, è da riferirsi attraverso le parole di Aristotele, propriamente alla foca monaca la quale potrebbe essere all’origine, secondo alcuni ricercatori, del mito delle sirene, che incantavano con i loro canti gli antichi navigatori. Facendo tesoro dell’esperienza del "Gruppo Foca monaca” del WWF, vengono qui di seguito descritte le caratteristiche salienti della specie.
I maschi adulti sono prevalentemente solitari, presenti in tratti di mare che ospitano gruppi di femmine in età riproduttiva. In coincidenza con il periodo dell'estro delle femmine, sono molto territoriali, difendendo ciascuno un tratto di costa dove solitamente le femmine scelgono il luogo adatto al parto. Nel resto dell'anno si spostano per ragioni alimentari trascorrendo anche lunghi periodi in alto mare.

Le femmine adulte sono prevalentemente gregarie, vivono in nuclei familiari comprendenti altre femmine adulte e individui giovani. Si avvicinano alla costa con l'approssimarsi del periodo del parto e trascorrono periodi sempre più lunghi fuori dall'acqua, dormendo su spiagge e in grotte riparate anche molto piccole, dove poi danno alla luce il loro cucciolo. In un tratto di costa, utilizzano più grotte, anche in funzione dell'ampiezza degli spazi disponibili e dell'azione delle mareggiate.

Le grotte sono scelte in funzione dei fattori precedenti e anche della morfologia interna: le caratteristiche della spiaggia, la presenza di laghi interni e di adeguate vie di fuga verso il mare aperto. Sono piuttosto fedeli ai loro siti preferiti, tornando volentieri a partorire dove hanno incontrato condizioni favorevoli negli anni precedenti; da questo punto di vista possono essere molto sensibili al disturbo umano.

I maschi sub-adulti, superati i due anni di vita, iniziano a manifestare i primi comportamenti sessuali, esponendoli agli attacchi dei maschi adulti e conseguentemente sono costretti ad abbandonare il loro nucleo familiare. In popolazioni numerose si aggregano con altri maschi sub-adulti rimanendo ai margini dei territori controllati dagli adulti. In generale sono comunque soggetti a spostamenti verso altre aree dove potrebbero manifestare comportamenti territoriali anche in assenza di femmine.

Le femmine sub-adulte rimangono sempre all'interno del nucleo familiare, probabilmente mostrando comportamenti meno diffidenti delle femmine adulte e utilizzando, nel periodo del parto, grotte marginali sempre all'interno dell'area controllata dal nucleo di appartenenza. I giovani sono gli individui più facilmente osservabili nei tratti di costa dove sono nati perché generalmente meno diffidenti degli adulti e più inesperti. Vivono all'interno del nucleo familiare giocando spesso con altri giovani o cuccioli, rimanendo più spesso sotto costa anche quando le femmine adulte si allontanano.

I cuccioli nascono su spiagge riparate, sono accuditi ininterrottamente dalla madre per pochi giorni, successivamente rimangono soli per molte ore al giorno. La madre visita con regolarità la grotta per allattare il cucciolo, trascorrendo con lui il tempo necessario all'allattamento, in caso di mareggiate o durante le ore notturne rimane più a lungo con il cucciolo. Dopo una settimana il cucciolo è già in grado di trascorrere lunghi periodi in acqua e impara ad immergersi insieme alla madre o ad altri componenti del nucleo familiare; inizia l'attività di gioco con i fratelli maggiori e i cugini. L'allattamento dura circa quindici settimane; alcuni mesi sono anche necessari per consentire al cucciolo di prendere confidenza col mare allontanandosi progressivamente dalla costa. In caso di mareggiate il cucciolo può essere trascinato lontano dalla grotta dove è nato, allora la madre e altri componenti del nucleo familiare lo seguono e, se possibile, continuano ad accudirlo conducendolo in altre grotte o spiagge.


MINACCE

La foca monaca del Mediterraneo è una delle specie animali maggiormente minacciate d'estinzione al mondo; le stime della popolazione superstite indicano oggi un numero complessivo di circa 400 individui (stima del 1988), distribuiti in piccoli nuclei sparsi principalmente tra le Isole greche, le coste mediterranee della Turchia e il Mar Nero. Sempre alla fine degli anni '80, in un breve tratto di costa atlantica compreso tra il Marocco e la Mauritania sono stati contati 80-97 individui e nelle isole Desertas (Madeira) altri 10-11 individui.

In tutti i luoghi storicamente noti per la presenza di foche, gli animali sono effettivamente scomparsi da molto tempo. Si hanno notizie su esemplari presenti o catturati e quindi scomparsi lungo tutta la costa tirrenica: nel golfo di Napoli nel 1884, a Capri nel 1910, a Ponza, a Ventotene, nell’arcipelago Toscano. Ciò non vale solo per il nostro paese, come nel caso della famosa Grotta del Bue Marino del Golfo di Orosei in Sardegna, dove la foca era presente ancora negli anni Sessanta, o di tante altre grotte che portano nomi analoghi lungo le coste toscane, siciliane, calabresi e pugliesi (San Foca), ma è altrettanto vero per numerosi luoghi della Grecia, della Croazia e della Turchia.

La sopravvivenza della specie è da imputare non tanto agli sforzi attuati per proteggerla, ma grazie soprattutto alla sua capacità di continuare a sopravvivere e riprodursi, tenendosi nascosta agli sguardi dei pescatori, dei turisti e spesso anche dei ricercatori.

Le poche indagini scientifiche svolte recentemente in Mauritania, in Grecia e in Turchia, hanno fornito informazioni che smentiscono alcune delle convinzioni generalmente riportate in letteratura. Le foche monache non frequentano esclusivamente i bassi fondali in prossimità della costa, come molti in passato ritenevano, ma compiono spostamenti giornalieri di alcune decine di chilometri, ed è stato dimostrato che raggiungono con estrema facilità i novanta metri di profondità. C’è ancora molto da conoscere su questa specie.


Balene e Capidogli

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I balenieri commerciali hanno sfruttato quasi tutti i grandi cetacei, portandone alcune specie e molte popolazioni vicino all’estinzione. Malgrado ciò, il commercio internazionale dei prodotti di balena, balenottera e capodoglio, anche se molto diminuito, non è cessato del tutto.


I fossili disponibili ci dicono che i Cetacei, e quindi balene, balenottere, capodogli, discendono da mammiferi terrestri: si sono evoluti in acquatici e hanno perso i peli, ma respirano aria con i polmoni, partoriscono i piccoli e li allattano. Le narici (dette "sfiatatoi") di balene, balenottere, capodogli sono sulla sommità del capo per poter espirare e inspirare senza interrompere il nuoto. Il corpo è affusolato: organi riproduttori, glandole mammarie e orecchie sono all’interno. La coda, forte e muscolosa, ha due lobi orizzontali (nei pesci sono verticali), gli arti anteriori si sono trasformati in pinne che servono a virare e a stabilizzare l’animale.


LA CACCIA ALLE BALENE

I balenieri commerciali hanno sfruttato quasi tutti i grandi cetacei, portandone alcune specie e molte popolazioni vicino all’estinzione, soprattutto dopo l’adozione dell’arpione esplosivo sparato dal cannoncino (a partire dal 1864) e delle navi "fabbrica" (impropriamente dette navi "fattoria" dall’inglese factory ships). Malgrado ciò, il commercio internazionale dei prodotti di balena, che era enorme, anche se è ora molto diminuito, non è cessato del tutto. Eppure esistono oggi sostituti naturali e sintetici di tutti i prodotti dei grandi cetacei, a prezzi competitivi.


Celacanto

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Il celacanto, spesso definito "pesce-dinosauro", "pesce preistorico" o "fossile vivente", riserva ancora molte sorprese agli studiosi. Ma bisogna tutelarlo, perchè rischia l'estinzione!


LA STORIA DEL CELACANTO, IL PESCE FOSSILE

Il celacanto (Latimeria chalumnae), spesso definito "pesce-dinosauro", "pesce preistorico" o "fossile vivente", riserva ancora molte sorprese agli studiosi. Del resto il celacanto ha una storia emozionante. Così la signora Maryore Courtenay-Latimer annotò sul suo diario:

"Il 22 dicembre 1938 era un giorno d'estate caldo e luminoso. Alle dieci e mezzo il mio apparecchio telefonico, installato da poco, squillò per informarmi dell'avvenuto attracco del motopeschereccio a strascico Nerine che aveva numerosi esemplari per me. (...) Andai sul ponte della Nerine e vi trovai un mucchio di piccoli squali, di spinaroli imperiali, di razze, di stelle marine e di pesci ratto. Dissi al vecchio: "Mi sembra che siano sempre gli stessi; forse per oggi lascerò perdere". Ma allora, mentre stavo andandomene, scorsi una pinna blu e scostando gli altri pesci mi apparve il più bel pesce che avessi mai visto. Era lungo circa un metro e mezzo e di un color malva pallido tendente al blu con macchie argentee iridescenti. "E questo cos'è?" chiesi al vecchio. "Be' tesoro" rispose, "questo pesce ha cercato di mordere le dita del capitano mentre lo stava esaminando nella rete a strascico. Era stato tirato su con una tonnellata e mezzo di pesce oltre a tutti questi pescecani e il resto." "Oh," dissi. "Questo me lo porto di sicuro al museo…".

Quel pesce non l’aveva mai visto e, a prima vista, le sembrò straordinario. Ne fece un rapido disegno, annotando le osservazioni più importanti e lo inviò all’Università di Grahamstown, all’attenzione del professor James L. Smith, allora ancora dedito all’insegnamento della chimica. Non appena ricevuto il disegno, per telegramma, il professore chiese alla signora Latimer di conservare in qualche modo il pesce. La somiglianza con i Crossopterigi fossili era troppo evidente! In assenza di un frigorifero, il celacanto era stato impagliato onde evitare la sua totale decomposizione, e non ne restava che una parte dello scheletro, del cranio e della pelle con le squame. Nel marzo del 1939, Smith pubblicò la sua descrizione dell’animale che, in omaggio alla scopritrice, fu chiamato Latimeria, con la denominazione specifica di chalumnae (dal nome del piccolo fiume alla cui foce il pesce venne catturato), e per qualche anno l'intera zona del ritrovamento fu monitorata nella speranza di trovare altri esemplari. Furono inviati volantini con promesse di ricompensa in tutti i villaggi di pescatori del canale del Mozambico.

Fu necessario però aspettare ben 14 anni perché il professor Smith potesse studiare un altro celacanto, questa volta pescato nei pressi delle Isole Comore (nell'Oceano Indiano, al largo del Mozambico e nei pressi del Madagascar). Il 24 dicembre 1952 il vecchio professore ricevette infatti un telegramma che l’avvertiva che un secondo celacanto era stato appena pescato. Il pesce era stato tirato in barca il 20 dicembre dal pescatore Ahmed Hussein del villaggio di Domoni (Comore) che il giorno dopo lo aveva portato al mercato del villaggio. Conoscendo bene il volantino di Smith e le promesse di ricompensa, l’insegnante del villaggio appena lo vide inviò immediatamente il pesce al capitano di un battello da pesca che conosceva Smith. Il capitano, preso a bordo il Latimeria, adottò una serie di misure un po’ rustiche (bacinella e frequenti cambi d’acqua di mare) per la conservazione del pesce e, prima della partenza, telegrafò a Smith. Pochi giorni dopo il pesce, ormai deteriorato, fu tra le mani dell’ormai famoso ittiologo.


NOTE SULLA BIOLOGIA DEL CELACANTO

Il celacanto è un pesce robusto, che dà l’impressione di essere dotato di una grande vitalità. Lungo più di 1,50 metri, pesa dai 30 ai 40 chili. La femmina è più grossa del maschio, raggiunge infatti 1,70 metri di lunghezza e pesa circa 80 chili. La testa forte e le mascelle fornite di una dentatura potente gli conferiscono un’aria feroce. Il corpo è leggermente appiattito. Il dorso ha due pinne. La prima anteriore ha un aspetto normale come nella maggior parte dei pesci. L’altra che si trova un po' prima dell’inizio della coda ha quel caratteristico aspetto di zampa che si ritroverà poi nelle pinne ventrali. Di queste ultime sola la pinna anale è impari. Le pettorali e le pelviche sono pari e assomigliano tutte a una zampa.

Per molto tempo gli scienziati credettero che servissero a camminare sul fondo melmoso. Il grosso pesce era conosciuto tra gli indigeni locali con il nome di Cambessa: era mangiato, anche se non abitualmente, in salamoia e la pelle usata come carta abrasiva. Il primo Latimeria vivo è stato visto nuotare dentro una bacinella da alcuni ricercatori francesi. L’esemplare fu preso nelle acque delle Isole Anjouan (Comore) a 255 metri di profondità da alcuni pescatori locali. Nonostante il numero di esemplari pescati nelle acque delle Isole Comore, che dimostrava come in quelle zone vi fosse un'intera colonia, poco o nulla si sapeva sulle abitudini del celacanto, fino a quando, nel 1987, un gruppo di ricercatori tedeschi capeggiato da Hans Fricke, docente di Fisiologia del comportamento al Max Planck Institute, servendosi di un batiscafo, sono riusciti a studiare il comportamento dell'animale nel suo ambiente naturale. Da oltre dieci anni l'équipe di Fricke vive fianco a fianco col celacanto, cercando di far luce sulle sue abitudini, sulla riproduzione e sul comportamento sociale, e cercando soprattutto di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'incombente pericolo di estinzione che grava su questo incredibile "pesce che viene dalla preistoria".

La sera del 17 gennaio 1987, intorno alle 21, nel mare dell'Isola Njazidja (Grandi Comore), a 198 metri di profondità, un celacanto sfiorò l'oblò del batiscafo "Geo": era la prima volta che un essere umano poteva osservare il "fossile" nel suo habitat naturale. Al primo, faticoso avvistamento, ne seguirono pochi altri, perché l'unità sottomarina non era in grado di scendere oltre i 200 metri di profondità. Protetti dalle correnti marine e da eventuali nemici di grande stazza, questi pesci trascorrono l'intera giornata all'interno di tane, perfettamente mimetizzati con l'ambiente grazie alle macchie bianche che ricoprono il loro corpo, identiche alle piccole ostriche che tappezzano la parete di lava. Queste macchie possono essere considerate un po' l'"impronta digitale" di ciascun soggetto: infatti variano da individuo a individuo e la loro configurazione rimane tale sin dalla nascita. Nelle tane, che abbandonano solo di notte per uscire a caccia di cibo, i celacanti vivono in gruppi di tre o quattro. Per comprendere il comportamento dei celacanti, i ricercatori hanno fissato delicatamente su circa 160 esemplari un trasmettitore a ultrasuoni, che consente di seguire i loro movimenti al di fuori delle tane. Al tramonto, questi pesci lasciano le tane per spingersi più in profondità a caccia di triglie e orate (in media 200-300 metri di profondità).
Uno dei misteri ancora insoluti è come questo pesce riesca a orientarsi durante la notte e negli abissi. Gli scienziati ritengono che probabilmente la lava antica crei forme di magnetismo insolito, sfruttate dal celacanto come se avesse una bussola naturale che gli indica la direzione.

La tecnica di caccia del celacanto è abbastanza inconsueta: non appena una preda gli si para davanti, accelera fulmineamente il proprio movimento, l'afferra e l'inghiotte in un solo boccone. Anche le prede di grande stazza non hanno via di scampo: il celacanto è dotato di una speciale articolazione tra le ossa del cranio (finora ritrovata in diversi pesci fossili ma in nessun animale vivente), che aumenta l'apertura della bocca e rafforza la stretta delle mascelle. Per risparmiare energia, il celacanto afferra solo i pesci che gli arrivano di fronte, con un'azione rapida e calcolata che gli è possibile grazie alla presenza, sull'estremità del capo, di un sensore detto organo rostrale. Quest'organo sembra essere in grado di percepire le piccole onde elettriche che un pesce emette quando nuota, consentendo al celacanto di misurare la posizione e la velocità della preda e quindi di dosare perfettamente le forze per l'attacco.

Il celacanto si è adattato a vivere in un'area con poca distribuzione di cibo ed è riuscito ad abbassare il suo metabolismo sino a consumare pochissimo ossigeno, in particolare solo 3,8 millilitri per chilo di peso all'ora, che è davvero un limite estremo per un pesce. Basti pensare che il tonno (animale di pari dimensioni), ne consuma 484 millilitri e la trota, decisamente più piccola, ha bisogno di 42,5 millilitri. Sarebbe dunque l'estremo risparmio delle proprie forze, e la conseguente minore necessità di cibo, il segreto della longevità del "pesce-dinosauro".


MINACCE

Negli ultimi dieci anni il numero di celacanti esistenti nelle Isole Comore (la zona che, insieme alle coste meridionali dell'Africa, è per le sue caratteristiche geologiche in grado di fornirgli un habitat) è notevolmente diminuito. Di pari passo è aumentato il numero di esemplari imbalsamati. Tra il 1994 e il 1995 la situazione si è ulteriormente aggravata, tanto che gli studiosi hanno lanciato un appello dalle pagine della rivista inglese Nature. Nel settembre 1998, questo grosso pesce preistorico ha però sorpreso tutto il mondo scientifico finendo nelle reti di un pescatore lungo la scarpata sommersa dell'isolotto vulcanico di Menado Tua situato nel Parco Nazionale Marino di Bunaken, Nord Sulawesi (Indonesia), a più di 10 mila km dalle Isole Comore, dove si riteneva esistesse l'unica popolazione di celacanti sopravvissuta all'estinzione. Ancor più recentemente è stato individuato nelle profonde acque di Sodwana Bay (Sud Africa) e nelle acque del Kenya e le sue immagini filmate si possono vedere in internet.

Sebbene i celacanti siano sopravvissuti per più di 400 milioni di anni, recenti indagini scientifiche mostrano che questo fossile vivente è ora minacciato di estinzione. La minaccia maggiore per le latimerie è costituita dalla cattura accidentale di esemplari nelle reti per la pesca commerciale. La scoperta di una nuova popolazione nel Nord Sulawesi fa sperare che la sua area di distribuzione sia in realtà più estesa di quanto si pensasse. La situazione però rimane critica. Qualcosa è stato fatto: innanzitutto in molti villaggi delle Isole Comore i pescatori sono stati dotati di canoe a motore per evitare il rischio che con la pesca sottocosta si catturino anche i celacanti, e recentemente l'animale è stato inserito nella lista CITES di Washington (un accordo internazionale di salvaguardia della flora e della fauna in estinzione).


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Che carino il panda :love:

Comunque mi dispiace per loro, indifesi come sono, non potranno fare niente per salvarsi
 
io adoro gli animali e farei di tt x nn farli estinguere anke dare la vita se questo potrebbe salvare tutti gli animali del mondo :emoji_slight_frown:
 
I panda sono adorabili
comunque per questi amici animali si sta cercando di tenere alcune specie in cattività per non farle estinguere
 
Povero Foche e povere Balene,la Fauna mondiale,tutta,è in serio pericolo <.<
 
nooooooo i lemuri nooooooo i miei animali preferiti...
I lect to movie movie...
 
Poveri animali, così indifesi...
Spero proprio che nessuno di questi o altri animali si estinguano.