Il cinema americano ha una caratteristica positiva: quella di cogliere aspetti della realtà, storica od odierna, e trasformarli in materia capace di vasta attrattiva popolare. Si potrebbe dire che si tratta di uno degli elementi base della forza profonda di questo cinema che conferma di essere una delle basi, forse la principale, della cultura americana. Tutto questo emerge anche da Argo, un film firmato e interpretata da Ben Affleck. Lo spunto nasce da una fatto di cronaca. A Teheran il 4 novembre 1979 una folla, valutata dai trecento ai duemila a seconda delle testimonianze, di studenti islamici fedeli all’Ayatollah Ruhollah Khomeini (1902 – 1989) fece irruzione nell'ambasciata americana prendendo in ostaggio cinquantadue diplomatici, mentre sei rieuscirono a sfuggire da una porta di servizio e si rifugiarono in casa dell’ambasciatore canadese Ken Taylor. I prigionieri rimarranno nelle mani dei sequestratori per oltre quattrocento giorni. Per liberarli i carcerieri reclamavano il rimpatrio dello Scià Mohammad Reza Pahlavi (1919 –1980), fuggito negli Stati Uniti due settimane prima dell’arrivo da Parigi di Khomeini, e a cui gli americani avevano concesso lo stato di rifugiato politico. In tutto questo periodo ci furono il fallimentare tentativo di liberazione attraverso un’operazione militare (Il 25 aprile 1980) autorizzata dal presidente Jimmy Carter (1924) e la riuscita fuga dei rifugiati nella residenza canadese organizzata dalla Cia. Il film ricostruisce quest’ultimo episodio, organizzato dall’agente Tony Mendez, e la complessa mascheratura (i prigionieri furono trasformati, con la complicità di Hollywood, in una troupe impegnata a girare il film di fantascienza Argo) che ne consentì il ritorno in patria. Il film ha il pregio di utilizzare nel modo migliore i meccanismi del classico prodotto d’avventura, immergendolo in una quadro che non risparmia denunce delle responsabilità del governo statunitense con la dittatura dello Scià. E’ un testo ben fatto e godibile dalla prima all’ultima immagine che conferma le doti del regista, già notate nel precedente The Town (2010), e lo colloca fra i maggiori autori americani.
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