“O muori da eroe o vivi tanto a lungo, da diventare il cattivo”.
Christopher e Jonathan Nolan, 2008
Il Cavaliere Oscuro è il secondo film, che Christopher Nolan ha tratto dai personaggi inventati nel 1939 da Bob Kane.
Dopo aver dato una nuova vita al personaggio nel 2005, con il compatto e serioso Batman Begins, il regista inglese prosegue la sua esplorazione dell’universo di Gotham city con una chiarezza d’intenti ed una forza evocativa del tutto nuove nelle frequentissime trasposizioni cinematografiche dei superoeroi di carta.
Il Cavaliere Oscuro è una potente sinfonia sulla giustizia, sul potere e sulle responsabilità personali e collettive.
E’ altresì una riflessione sull’America della war on terror: fino a che punto le libertà personali e le garanzie civili posso essere piegate per una causa, che riteniamo giusta? Cosa siamo disposti a sacrificare, per sentirci più sicuri? Come possiamo tentare di arginare una minaccia i cui obbiettivi ci rimangono incomprensibili? E quando c’è in gioco la propria sopravvivenza, prevale davvero l’homo homini lupus hobbesiano o c’è spazio per sentimenti di solidarietà e di compassione?
Queste sono solo alcune delle domande che il ricchissimo film di Nolan pone ai suoi personaggi ed allo spettatore.
Naturalmente gli interrogativi etici si intrecciano con l’ossessione tutta americana per l’eroe, per l’uomo della provvidenza, accentuatasi nel post 11 settembre, ma che è da sempre al centro della riflessione di un paese forgiato nel mito della frontiera e sempre attraversato da venti di guerra, interna o internazionale.
Nessuno, se non forse il lucidissimo Spike Lee della 25°ora, era stato così chiaro nel rappresentare la confusione ideale, l’ambiguità e la paura di un’intera nazione, devastata nel profondo, molto più di quanto il cratere di ground zero possa rappresentare.
Dopo aver affondato a piene mani nelle atmosfere di Year One, per ricostruire la nascita di Batman, Nolan è riuscito nuovamente a cogliere dalle graphic novel di Frank Miller le atmosfere adatte, per questo nuovo episodio.
Nonostante la storia di The Dark Knight sia diversa da quella scritta dal sulfureo fumettista del Maryland, siamo sempre di fronte ad un Batman stanco di vestire la sua maschera, pronto a cedere il testimone alla faccia pulita del nuovo procuratore Harvey Dent, che può combattere la criminalità, senza bisogno di travestimenti.
Il personaggio di Batman è colto qui, come nelle strisce di Miller, in tutta la sua ambiguità: un vigilante violento e fuori dalla legge, che agisce con mezzi illimitati, ma anche mettendo a rischio l’incolumità degli uomini di legge e le libertà personali dei suoi concittadini.
Per questo Bruce Wayne vorrebbe finalmente deporre le armi, dedicarsi all’amata Rachel e lasciare al commissario Gordon e ad Harvey Dent, due funzionari pubblici, due uomini di legge, la tutela della sicurezza di Gotham.
Purtroppo i progetti di Batman sono stravolti dall’irrazionalità di Joker, dipinto da Nolan come un situazionista anarchico, che non agisce per soldi, né per gloria, ma che si limita a portare scompiglio nei piani delle forze dell’ordine ed in quelli altrettanto ordinati della malavita.
Le sue azioni sono sconsiderate, imprevedibili ed incomprensibili e per questo ancora più terrificanti: “sono un agente del Caos” proclama Joker e poi, dopo aver ottenuto dalla mafia di Gotham il 50% dei loro profitti, non esita a dare fuoco a quella montagna enorme di dollari, perchè “sono un tipo dai gusti semplici: mi piace la dinamite, la polvere da sparo e la benzina. E sono tutti a buon mercato.”
Siamo lontani dall’estro pop del Joker di Burton e Nicholson, qui non c’è divertimento alcuno, non c’è piacere, nemmeno nel gesto distruttivo.
Le cicatrici profonde sul suo volto non vengono mai spiegate davvero, proprio perchè a Nolan non interessano le origini di questo figlio del caos e le sue ferite, sono anch’esse parte di una leggenda declinabile all’infinito.
Il film si mantiene in perfetto equilibrio fra i suoi quattro protagonisti: Batman/Wayne, Joker, Gordon e Dent, senza mai prevaricare il ruolo dell’uno rispetto agli altri, lasciando che la storia li avvolga tutti con le sue spire fatali.
Certo Batman perde il centro della scena che deve condividere con gli altri e allo stesso tempo perde la sua aurea romantica e nobile, mentre cresce l’ombra, il doppio inquieto, rappresentato prima da Dent e poi da Joker, che è la personificazione di tutte le radici dark della storia.
E finisce per esserne anche il suo centro focale, ambigua risposta a poteri tirannici e violenti: for it’s what he represents, not what he looks like, that is finally the horror of the Joker. He has no scruples, no morals, no goal except anarchy, no plan except the end of planning.
Così come Nolan stesso ha affermato, la presenza stessa di Batman a Gotham City è una calamita per il crimine, la follia e il disordine.
Joker si incarica di rappresentarli tutti, simbolo della paura e dell’ossessione per il diverso, che spingono una comunità ad attendere l’avvento di un angelo vendicatore, quando il timore della violenza genera solo nuova violenza.
Il terzo polo di questa meravigliosa opera è rappresentato dal procuratore Dent e dal commissario Gordon, i volti onesti della polizia e della giustizia, costretti a confrontarsi giorno per giorno con la criminalità che dilaga ed infetta come una peste anche i propri collaboratori.
Sono loro che dovrebbero piegare Batman ad un’alleanza per mettere fine alla violenza, ma nonostante la dedizione totale, sono costretti a soccombere.
Il Cavaliere Oscuro è anche il racconto di questa sconfitta, con la progressiva discesa agli inferi dell’eroe senza maschera Harvey Dent, risentito coi compagni ed attirato verso il lato oscuro dalle macchinazioni dell’inafferrabile Joker, che lo spingono verso la paranoia autodistruttiva.
Dalla caduta di Harvey, che si costruiva la propria fortuna con una moneta con due facce uguali, nasce Two Faces, reduce e sopravvissuto, che deve essere occultato perchè il volto onesto di Dent possa ancora essere fonte d’ispirazione e speranza, mentre l’anima nera Batman si fa carico della scomoda verità ufficiale e fugge nella notte, diventando il capro espiatorio necessario perchè l’ordine sia ristabilito a Gotham.
Così come già The prestige e Insomnia, anche questo The Dark Knight è un poema epico sul doppio, sulla sfida e sul dualismo tra personaggi pronti a mettere in discussione la propria reputazione, se non la propria vita pur di riuscire a farcela.
Il percorso autoriale di Nolan assume contorni piuttosto definiti.
I duellanti che lottano all’infinito per un supremo istinto morale, sono sempre ugualmente sconfitti: che siano il poliziotto, interpretato da Al Pacino, o i prestigiatori disposti a morire ogni notte per la magia di un’illusione, così come i protagonisti di questo ultimo film, sono tutti vittime di una battaglia che sembra non avere fine.
Le qualità superlative de Il Cavaliere Oscuro cominciano naturalmente dalla sceneggiatura, scritta a quattro mani da Christopher Nolan con il fratello Jonathan: insieme realizzano lo script hollywoodiano perfetto, l’ossimoro del blockbuster d’autore, che ogni produttore vorrebbe avere.
Nelle due ore e trenta del film non c’è un momento di pausa, non c’è una nota stonata.
Nolan usa gli effetti digitali il minimo indispensabile e realizza un potente noir metropolitano, che si situa dalle parti di Heat, de Gli Intoccabili e della Giungla d’asfalto di Huston.
Gotham City perde ogni suggestione gotica e fumettistica.
E’ una città vera, vitale, ripresa da Nolan a Chicago, spesso di giorno, con le medesime panoramiche aeree che avrebbe usato Michael Mann.
Emblematica è la straordinaria sequenza della rapina in banca, con i banditi travestiti da clown: usano la stessa maschera di Sterling Hayden in The Killing di Kubrick, quasi a segnare una continuità con quella eredità culturale e cinematografica.
Nolan, assieme a Wally Pfister, suo fidato direttore della fotografia, sceglie di riprenderla con cineprese IMAX a 65 millimetri, raccogliendo su una pellicola enorme e ultra-definita, tutta la grandiosità dei particolari del piano criminale.
Il regista inglese usa una narrazione classica ed un montaggio che asseconda la complessità della storia ed i tanti personaggi coinvolti, concedendosi due momenti di pura originalità visiva, in tutta la sequenza dell’ospedale e nel confronto finale a testa in giù tra Joker e Batman.
Come ha scritto Roger Ebert: Batman isn’t a comic book anymore. Christopher Nolan’s The Dark Knight is a haunted film that leaps beyond its origins and becomes an engrossing tragedy. It creates characters we come to care about. That’s because of the performances, because of the direction, because of the writing, and because of the superlative technical quality of the entire production…. The Dark Knight” move the genre into deeper waters. They realize, as some comic-book readers instinctively do, that these stories touch on deep fears, traumas, fantasies and hopes. And the Batman legend, with its origins in film noir, is the most fruitful one for exploration.
Il cast di supporto, aiutato anche da una sceneggiatura brillante, che concede a tutti lo spazio necessario a definire il proprio personaggio, è di primissimo livello.
Morgan Freeman è come al solito perfetto, nella parte del consigliere e mentore di Wayne; Michael Caine è un Alfred serafico e dolente; Maggie Gyllenhaal sostituisce Katie Holmes dando ben altro spessore al personaggio di Rachel.
Gary Oldman è bravissimo nella parte del grigio e baffuto commissario Gordon, i cui occhi si illuminano solo quando il suo piano per catturare Joker raggiunge lo scopo; Christian Bale è un Bruce Wayne profondamente infelice: il volto scavato dell’attore gallese, il suo sguardo sfuggente, i suoi modi eleganti segnano il personaggio in maniera efficace.
Quanto ad Aaron Eckhart occorre riferire che è una delle sorprese più straordinarie del film: presta la sua faccia decisa e gioviale all’uomo del popolo Harvey Dent, rendendo credibile il suo spirito indomito e la sua discesa progressiva verso la follia criminale.
Su tutti però si erge il Joker di Heath Ledger, monumentale raffigurazione del male assoluto e ingiustificato.
L’attore australiano con il volto sfatto, le cicatrici enormi sul viso, i capelli unti ed una vestito viola e verde ci lascia un’ultima sontuosa interpretazione.
La sua maschera isterica, debitrice probabilmente de L’uomo che ride (1928), con la lingua sempre in movimento e lo sguardo triste, cerchiato di nero segnano profondamente il film di Nolan che sembra accendersi e bruciare più forte quando è in scena il Joker.
Joker is a creature of such ghastly life, and the performance is so visceral, creepy and insistently present that the characterization pulls you in almost at once. When the Joker enters one fray with a murderous flourish and that sawed-off smile, his morbid grin a mirror of the Black Dahlia’s ear-to-ear grimace, your nervous laughter will die in your throat.
Il confronto con il personaggio incarnato venti anni fa da Jack Nicholson non si pone neppure, tanto è potente la creazione di Ledger, che scende fin nell’abisso dell’orrore e della follia, per tratteggiare un carattere memorabile e assoluto.
Non c’è nulla del clown istrionico voluto da Burton, erede della tradizione televisiva, questo è un Joker punk, una sorta di clochard armato solo di coltelli, del tutto originale, con il volto devastato dal make-up, che si concede un solo gioco di prestigio, nella già celeberrima scena della sparizione della matita.
Ledger si è immerso in Joker con tutto l’entusiasmo e la dedizione che il suo enorme talento gli consentivano, lasciando nella memoria collettiva un personaggio indelebile.
Così come ha scritto Manhola Dargis sul Times, no matter how cynical you feel about Hollywood, it is hard not to fall for a film that makes room for a shot of the Joker leaning out the window of a stolen police car and laughing into the wind, the city’s colored lights gleaming behind him like jewels. He’s just a clown in black velvet, but he’s also some kind of masterpiece.
Il cavaliere oscuro – The dark knight ***1/2
So che il film è del 2008 ma a me piace molto e poi ho visto che nel Forum non era presente