Elena è devota alla sua attività come mediatrice culturale tra gli africani e le istituzioni italiane, ma inconsciamente spera che il suo impegno possa in qualche modo espiare i pregiudizi razziali dei genitori borghesi. Il marito Carlo non condivide il suo stesso entusiasmo e non ama accompagnarla alle serate benefiche promosse dall'associazione perché si sente fuori luogo. Finché non conosce Nadine, l'affascinante moglie senegalese del collega di Elena, e se ne innamora.
Bianco e nero si scontrano e si fondono nel nuovo lungometraggio di Cristina Comencini che sceglie la commedia per invitare il pubblico ad aprirsi al "diverso". Se il cinema può far ridere utilizzando con intelligenza temi come la povertà, l'ignoranza, la corruzione, la mafia o la tossicodipendenza, è giusto e pertinente che lo faccia anche con il razzismo. L'esercizio della regista però si ferma qui.
Vincolato rigidamente al titolo, il film non offre uno scambio culturale ma gira e rigira intorno a clichè preconfezionati, sfruttando fino allo sfinimento il concetto di bianco e nero dimenticando che esistono anche le sfumature. Persino Carlo e Nadine, seppur travolti dalla passione, finiscono per parlare della diversità del colore della loro pelle, al punto da far pensare, quanto meno, a una mancanza di idee in fase di scrittura. Teatro d'azione della relazione sentimentale dei due amanti clandestini sono da una parte la Roma bene servita a tavola da cameriere nere e dall'altra la più multietnica Piazza Vittorio con le mogli che perdonano ai mariti i tradimenti purché non siano consumati con donne bianche.
Nel tentativo di affrontare con leggerezza una problematica che (purtroppo) è ancora profondamente radicata nella società, la Comencini crea una serie di macchiette a discapito del film che appare anacronistico (sono lontani i tempi - e i canoni - di Indovina chi viene a cena) e un tantino perbenista. Forse solo grazie all'interpretazione di Fabio Volo e a un finale per niente scontato, Bianco e nero si solleva dalla mediocrità preso da