- 22 Ottobre 2008
- 204
- 0
- Miglior risposta
- 0
Il presidente della Fed, intervenendo nei giorni scorsi di fronte alla commissione bilancio della Camera a Capitol Hill, ha dichiarato che le prospettive per l’economia americana restano “incredibilmente incerte”. A fronte di questa situazione di incertezza un nuovo intervento da parte del governo sarebbe “appropriato”. Bernnake nutre la convinzione che l’economia Usa resterà debole ancora per “diversi trimestri”, e che diventa quindi ora una priorità varare nuove misure per migliorare sia l’accesso al credito da parte sia dei consumatori sia dei proprietari di immobili e di aziende.
All’orizzonte quindi, superate le secche della tempesta dei mercati finanziari, si profila poi una recessione, una fase di crescita risicata o negativa dell’economia reale che colpirà probabilmente duro anche i profitti delle aziende. Nonostante le avversità a venire, gli indici di borsa potrebbero tentare di trovare nelle prossime sedute un punto di appoggio a partire dal quale tentare una reazione. Per molti dei principali panieri potrebbe essere l’avvicinamento ai minimi di fine 2002 / inizio 2003 a determinare una frenata del ribasso. Esemplare il caso dello S&PMib, che in chiusura della scorsa ottava ha toccato un minimo poco al di sotto dei 19800 punti, praticamente allineato con quello del 12 marzo 2003 a 20324.
Ma perché è possibile che nei prossimi giorni si sviluppi una reazione?
La spiegazione di un possibile mutamento di sentiment degli operatori è legata al modo particolare con cui i mercati finanziari interpretano la realtà dei fatti, cioè cercando sempre di anticipare quello che accadrà in futuro. Le notizie che provengono dall’economia reale, dalla politica, dalla cronaca, non vengono infatti quasi mai considerate dagli operatori per la loro portata contingente ma sempre con un occhio a quello che potrebbe essere il loro effetto sul futuro. Il crollo verticale subito dai mercati azionari tra settembre ed ottobre è stato quindi quasi sicuramente non solo una risposta alle notizie di fallimenti e di incontri straordinari fatti tra le massime cariche politiche per salvare il salvabile, ma anche un tentativo di incorporare nei prezzi notizie dello stesso tenore ancora non di dominio pubblico ma che era probabile dovessero alla fine essere rese note.
Lo S&P500 in poco più di due mesi è passato dai 1300 agli 850 punti lasciando sul campo il 35% circa del suo valore, stessa sorte è toccata all’Eurostoxx 50, ancora peggio è andata al Nikkei, che ha perso nello stesso periodo il 40% circa. In poco più di un anno, dai massimi di metà 2007 ai recenti minimi di ottobre, i principali indici azionari hanno perso quanto guadagnato in quattro anni nel rialzo visto dai minimi di inizio 2003, rialzo giudicato da tutti prodigioso nel corso della sua evoluzione per estensione e continuità. Il fatto di essere praticamente tornati sul punto di partenza, alla origine di quel rialzo che aveva concluso un’altra fase negativa memorabile, quella vissuta dai massimi del 2000 ai minimi del 2003, potrebbe fare pensare agli investitori che forse non ha senso spingersi ancora più in basso. Anzi, qualcuno potrebbe pensare che forse sull’onda dell’emotività le vendite sono state eccessive anche a fronte di una situazione di crisi senza precedenti nella storia recente dei mercati.
Da qui a dire che la fase ribassista è finita ancora ce ne corre, tuttavia sarà molto importante per gli studiosi dei grafici verificare se il rallentamento si realizzerà al di sopra dei supporti rappresentati dai minimi del 2003 o dopo la loro violazione. Il minimo di ottobre potrebbe non rappresentare necessariamente il singolo punto di partenza di una fase al rialzo ma dimostrarsi, e questo ovviamente sarà possibile dirlo solo a posteriori, il punto di partenza nella costruzione di una figura di inversione attraverso la quale i mercati potrebbero tentare una correzione estesa del ribasso dell’ultimo anno.
A riprova del fatto che un potenziale cambiamento di sentiment è prossimo è possibile citare l’andamento dei mercati obbligazionari. Il future sul T-Bond Usa, il titolo trentennale del Tesoro americano, ha raggiunto a metà settembre un picco praticamente coincidente con quello del giugno 2003 in area 123. Tale soglia era già stata avvicinata a gennaio di quest’anno, con il risultato che ora sul bond americano (una situazione simile si è tratteggiata anche sul decennale, con il rialzo dei prezzi bloccato dalla resistenza a 120) è presente un potenziale doppio massimo, figura che se completata con la violazione del supporto di area 111 avvierebbe la correzione del rialzo visto dai minimi del 2004. Una discesa dei prezzi dei mercati obbligazionari, oltre a testimoniare un ridimensionato rischio di inflazione per il futuro, starebbe probabilmente anche ad indicare un passaggio da questo comparto all’azionario. Negli ultimi mesi sono stati infatti massicci gli acquisti di bond utilizzati come porto sicuro dagli investitori in fuga dalle tempeste azionarie. Certo, le dinamiche alle quali si è accennato, possibile rallentamento del ribasso dei mercati azionari ed interruzione del rialzo per quelli obbligazionari, sono ancora in divenire, quindi in una fase estremamente delicata durante la quale basterebbe poco per interromperli. Nel caso poi che effettivamente il processo di inversione del trend ribassista delle borse passi per la creazione di una figura complessa è altresì probabile che gli indici tornino, dopo un primo rimbalzo, non solo in prossimità dei recenti minimi ma anche al di sotto, avvicinandosi ancora di più ai record negativi del 2003 (nel caso dello S&P500 ad esempio il minimo del marzo 2003 si colloca in area 800 mentre ad ottobre i prezzi si sono fermati a 839, per lo S&PMib, già sui minimi del 2003, il primo supporto si colloca a 18000 circa).
L’investitore dovrà decidere, in base alla propria propensione al rischio, se tentare di approfittare di questa fase ancora molto instabile, ricca quindi di opportunità ma anche di rischio, per operare alcune modifiche al proprio portafoglio, incrementando la componente azionaria a dispetto di quella obbligazionaria (per la quale in ogni caso è consigliabile una riduzione della vita residua dei titoli in portafoglio per diminuirne la sensibilità ora che i rischi di crescita violenta dell’inflazione sembrano diminuiti). I livelli raggiunti da molti titoli azionari sono allettanti, anche tralasciando il comparto finanziario assicurativo, che rischia di rimanere nell’occhio del ciclone ancora per un po’ (ma che potrebbe anche andare incontro ai rimbalzi più significativi essendo quello maggiormente penalizzato negli ultimi mesi). Gli esempi si sprecano anche sul mercato domestico, da Eni che quota poco al di sopra dei minimi di area 11 euro toccati nel marzo 2003, a Finmeccanica, scesa al di sotto dei 9 euro dopo aver toccato a giugno 2007 un picco a 24 euro circa).
Tra i titoli a più basso beta, quelli cioè che dovrebbero avere un comportamento non troppo dissimile da quello dell’indice (che non rischiano quindi di perdere molto più della borsa in generale se le speranze di un rimbalzo venissero negate dalla evoluzione dei fatti) ci sono Lottomatica, la già citata Finmeccanica, Autostrade e Snam Rete Gas. Tra quelli ad alto beta, da scegliere quindi solo se ben consapevoli del rischio che si corre mettendo in portafoglio un titolo molto reattivo in una fase di cambiamento come la attuale, vi sono Tenaris, Eni e Telecom Italia, insomma quasi tutti quei soggetti che sono stati molto penalizzati nella fase di ripiegamento ma che proprio per questo motivo, se il vento cambiasse, avrebbero maggiori spazi di recupero. La cosa essenziale da tenere presente andando ad acquistare titoli azionari in questo momento è che la volatilità in media è salita moltissimo negli ultimi mesi, ed anche se il suo valore è probabilmente destinato a ridimensionarsi se effettivamente i corsi azionari intraprenderanno la strada di una correzione, il rischio che esso si mantenga ancora per un po’ al di sopra della media recente è elevato.
Questo significa per il risparmiatore che la componente azionaria in portafoglio dovrà essere ridotta rispetto alla disponibilità totale (volatilità elevata significa possibilità di elevati guadagni in tempi relativamente brevi ma anche rischio di perdite altrettanto elevate) e che le posizioni dovranno essere seguite con assiduità onde evitare di essere vittima di brutte sorprese. L’utilizzo dello stop loss diventa poi mandatorio: avere bene chiaro in mente quanto si è disposti a perdere prima di aprire una posizione è l’unico modo per evitare di passare dalla condizione di investitore soddisfatto a quella di “cassettista” insoddisfatto. Un vecchio detto di borsa recita infatti che il cassettista non è altro che un trader che non ha più rivisto il suo prezzo di ingresso.
All’orizzonte quindi, superate le secche della tempesta dei mercati finanziari, si profila poi una recessione, una fase di crescita risicata o negativa dell’economia reale che colpirà probabilmente duro anche i profitti delle aziende. Nonostante le avversità a venire, gli indici di borsa potrebbero tentare di trovare nelle prossime sedute un punto di appoggio a partire dal quale tentare una reazione. Per molti dei principali panieri potrebbe essere l’avvicinamento ai minimi di fine 2002 / inizio 2003 a determinare una frenata del ribasso. Esemplare il caso dello S&PMib, che in chiusura della scorsa ottava ha toccato un minimo poco al di sotto dei 19800 punti, praticamente allineato con quello del 12 marzo 2003 a 20324.
Ma perché è possibile che nei prossimi giorni si sviluppi una reazione?
La spiegazione di un possibile mutamento di sentiment degli operatori è legata al modo particolare con cui i mercati finanziari interpretano la realtà dei fatti, cioè cercando sempre di anticipare quello che accadrà in futuro. Le notizie che provengono dall’economia reale, dalla politica, dalla cronaca, non vengono infatti quasi mai considerate dagli operatori per la loro portata contingente ma sempre con un occhio a quello che potrebbe essere il loro effetto sul futuro. Il crollo verticale subito dai mercati azionari tra settembre ed ottobre è stato quindi quasi sicuramente non solo una risposta alle notizie di fallimenti e di incontri straordinari fatti tra le massime cariche politiche per salvare il salvabile, ma anche un tentativo di incorporare nei prezzi notizie dello stesso tenore ancora non di dominio pubblico ma che era probabile dovessero alla fine essere rese note.
Lo S&P500 in poco più di due mesi è passato dai 1300 agli 850 punti lasciando sul campo il 35% circa del suo valore, stessa sorte è toccata all’Eurostoxx 50, ancora peggio è andata al Nikkei, che ha perso nello stesso periodo il 40% circa. In poco più di un anno, dai massimi di metà 2007 ai recenti minimi di ottobre, i principali indici azionari hanno perso quanto guadagnato in quattro anni nel rialzo visto dai minimi di inizio 2003, rialzo giudicato da tutti prodigioso nel corso della sua evoluzione per estensione e continuità. Il fatto di essere praticamente tornati sul punto di partenza, alla origine di quel rialzo che aveva concluso un’altra fase negativa memorabile, quella vissuta dai massimi del 2000 ai minimi del 2003, potrebbe fare pensare agli investitori che forse non ha senso spingersi ancora più in basso. Anzi, qualcuno potrebbe pensare che forse sull’onda dell’emotività le vendite sono state eccessive anche a fronte di una situazione di crisi senza precedenti nella storia recente dei mercati.
Da qui a dire che la fase ribassista è finita ancora ce ne corre, tuttavia sarà molto importante per gli studiosi dei grafici verificare se il rallentamento si realizzerà al di sopra dei supporti rappresentati dai minimi del 2003 o dopo la loro violazione. Il minimo di ottobre potrebbe non rappresentare necessariamente il singolo punto di partenza di una fase al rialzo ma dimostrarsi, e questo ovviamente sarà possibile dirlo solo a posteriori, il punto di partenza nella costruzione di una figura di inversione attraverso la quale i mercati potrebbero tentare una correzione estesa del ribasso dell’ultimo anno.
A riprova del fatto che un potenziale cambiamento di sentiment è prossimo è possibile citare l’andamento dei mercati obbligazionari. Il future sul T-Bond Usa, il titolo trentennale del Tesoro americano, ha raggiunto a metà settembre un picco praticamente coincidente con quello del giugno 2003 in area 123. Tale soglia era già stata avvicinata a gennaio di quest’anno, con il risultato che ora sul bond americano (una situazione simile si è tratteggiata anche sul decennale, con il rialzo dei prezzi bloccato dalla resistenza a 120) è presente un potenziale doppio massimo, figura che se completata con la violazione del supporto di area 111 avvierebbe la correzione del rialzo visto dai minimi del 2004. Una discesa dei prezzi dei mercati obbligazionari, oltre a testimoniare un ridimensionato rischio di inflazione per il futuro, starebbe probabilmente anche ad indicare un passaggio da questo comparto all’azionario. Negli ultimi mesi sono stati infatti massicci gli acquisti di bond utilizzati come porto sicuro dagli investitori in fuga dalle tempeste azionarie. Certo, le dinamiche alle quali si è accennato, possibile rallentamento del ribasso dei mercati azionari ed interruzione del rialzo per quelli obbligazionari, sono ancora in divenire, quindi in una fase estremamente delicata durante la quale basterebbe poco per interromperli. Nel caso poi che effettivamente il processo di inversione del trend ribassista delle borse passi per la creazione di una figura complessa è altresì probabile che gli indici tornino, dopo un primo rimbalzo, non solo in prossimità dei recenti minimi ma anche al di sotto, avvicinandosi ancora di più ai record negativi del 2003 (nel caso dello S&P500 ad esempio il minimo del marzo 2003 si colloca in area 800 mentre ad ottobre i prezzi si sono fermati a 839, per lo S&PMib, già sui minimi del 2003, il primo supporto si colloca a 18000 circa).
L’investitore dovrà decidere, in base alla propria propensione al rischio, se tentare di approfittare di questa fase ancora molto instabile, ricca quindi di opportunità ma anche di rischio, per operare alcune modifiche al proprio portafoglio, incrementando la componente azionaria a dispetto di quella obbligazionaria (per la quale in ogni caso è consigliabile una riduzione della vita residua dei titoli in portafoglio per diminuirne la sensibilità ora che i rischi di crescita violenta dell’inflazione sembrano diminuiti). I livelli raggiunti da molti titoli azionari sono allettanti, anche tralasciando il comparto finanziario assicurativo, che rischia di rimanere nell’occhio del ciclone ancora per un po’ (ma che potrebbe anche andare incontro ai rimbalzi più significativi essendo quello maggiormente penalizzato negli ultimi mesi). Gli esempi si sprecano anche sul mercato domestico, da Eni che quota poco al di sopra dei minimi di area 11 euro toccati nel marzo 2003, a Finmeccanica, scesa al di sotto dei 9 euro dopo aver toccato a giugno 2007 un picco a 24 euro circa).
Tra i titoli a più basso beta, quelli cioè che dovrebbero avere un comportamento non troppo dissimile da quello dell’indice (che non rischiano quindi di perdere molto più della borsa in generale se le speranze di un rimbalzo venissero negate dalla evoluzione dei fatti) ci sono Lottomatica, la già citata Finmeccanica, Autostrade e Snam Rete Gas. Tra quelli ad alto beta, da scegliere quindi solo se ben consapevoli del rischio che si corre mettendo in portafoglio un titolo molto reattivo in una fase di cambiamento come la attuale, vi sono Tenaris, Eni e Telecom Italia, insomma quasi tutti quei soggetti che sono stati molto penalizzati nella fase di ripiegamento ma che proprio per questo motivo, se il vento cambiasse, avrebbero maggiori spazi di recupero. La cosa essenziale da tenere presente andando ad acquistare titoli azionari in questo momento è che la volatilità in media è salita moltissimo negli ultimi mesi, ed anche se il suo valore è probabilmente destinato a ridimensionarsi se effettivamente i corsi azionari intraprenderanno la strada di una correzione, il rischio che esso si mantenga ancora per un po’ al di sopra della media recente è elevato.
Questo significa per il risparmiatore che la componente azionaria in portafoglio dovrà essere ridotta rispetto alla disponibilità totale (volatilità elevata significa possibilità di elevati guadagni in tempi relativamente brevi ma anche rischio di perdite altrettanto elevate) e che le posizioni dovranno essere seguite con assiduità onde evitare di essere vittima di brutte sorprese. L’utilizzo dello stop loss diventa poi mandatorio: avere bene chiaro in mente quanto si è disposti a perdere prima di aprire una posizione è l’unico modo per evitare di passare dalla condizione di investitore soddisfatto a quella di “cassettista” insoddisfatto. Un vecchio detto di borsa recita infatti che il cassettista non è altro che un trader che non ha più rivisto il suo prezzo di ingresso.