Come si fa l'analisi grammaticale
La grammatica (studio normativo della lingua) si divide in fonologia, morfologia e sintassi.
La morfologia (dal greco morfé, forma, e logos, studio) è la disciplina che descrive e analizza le forme delle parole e i loro mutamenti in rapporto alla funzione che svolgono nelle frasi, senza però considerare il pensiero, facendo cioè astrazione dal resto della frase stessa. Si esamina la forma di ogni «singolo mattone» linguistico.
L’analisi grammaticale consiste nel: 1) classificare le varie parole assegnando ciascuna di esse a una delle nove parti del discorso2;
2) indicare, per ciascuna parola così classificata, tutte le caratteristiche morfologiche, cioè genere, numero, tipo, ecc.
Tradizionalmente, nella lingua italiana, si distinguono nove categorie grammaticali o parti del discorso, suddivise in due gruppi: a) parti variabili e b) parti invariabili.
Parti variabili (parole che hanno più forme) sono: articolo, nome, aggettivo, pronome e verbo.
Parti invariabili sono: avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione.
L’articolo
L’articolo è un «piccolo elemento» variabile del discorso che si inserisce prima del nome per introdurlo e individuarlo. Marca genere e numero del nome, oltre al carattere di precisione o genericità.
Fare l’analisi grammaticale dell’articolo significa stabilire:
1) la funzione: determinativo, indeterminativo o partitivo;
2) il genere: maschile o femminile;
3) il numero: singolare o plurale.
Esempi: i è articolo determinativo, maschile, plurale; una è articolo indeterminativo, femm., sing.
Il nome o sostantivo
La funzione fondamentale del nome nel processo linguistico è di tipo semantico (relativo al significato): serve a «denominare», cioè designare, indicare, chiamare un oggetto di riferimento, una «sostanza» di tipo materiale o immateriale. Esso è variabile.
Sul piano sintattico è il costituente fondamentale di ogni sintagma nominale, cioè di un gruppo nominale, cui possono essere congiunti articoli o aggettivi.
Fare l’analisi grammaticale del nome significa stabilire:
1) la specie in rapporto al significato: nome comune o proprio di persona, animale o cosa; concreto o astratto; individuale o collettivo;
2) il genere: maschile o femminile;
3) il numero: singolare o plurale; eventualmente anche invariabile (es. specie), difettivo (es. burro; libertà) o sovrabbondante (es. dito/ i diti/ le dita);
4) la struttura morfologica: primitivo, derivato, composto o alterato.
Esempi: lettino è nome comune di cosa, concreto, maschile, singolare, alterato diminutivo;
virtù è nome comune di cosa, astratto, femminile, singolare, primitivo;
Normandia è nome proprio di regione, femminile.
L’aggettivo
L’aggettivo si «aggiunge» a un nome per attribuirgli una qualità o per determinarlo; quindi non ha esistenza autonoma e deve essere sempre usato assieme al nome cui si riferisce e da cui dipende grammaticalmente (con cui si accorda in genere e numero), a meno che non sia sostantivato, ma in questo caso svolge la funzione di nome. L’aggettivo è quindi una parte variabile del discorso.
Gli aggettivi possono essere classificati in due gruppi fondamentali: gli aggettivi qualificativi, che si aggiungono al nome per segnalarne una qualità, e gli aggettivi determinativi, che invece servono a meglio specificare il nome e si dividono in possessivi, dimostrativi, indefiniti e numerali.
L’aggettivo, in rapporto al nome, ha due funzioni: attributiva, se si unisce direttamente al nome, e predicativa, se costituisce la parte nominale di un predicato nominale congiunto al nome dalla copula.
Fare l’analisi grammaticale dell'aggettivo significa stabilire:
1) la specie: qualificativo, dimostrativo, possessivo, indefinito, numerale, interrogativo/esclamativo;
2) il genere: maschile o femminile;
3) il numero: singolare o plurale;
4) la struttura morfologica (solo per l’agg. qualificat.): primitivo o derivato; composto o alterato;
5) il grado (solo per l’aggettivo qualificativo): positivo, comparativo (di uguaglianza, minoranza o maggioranza), superlativo (relativo o assoluto)3.
Esempi: buono è aggettivo qualificativo, maschile, singolare, primitivo, di grado positivo;
quelli è aggettivo dimostrativo, maschile, plurale.
Il pronome o sostituente
Il pronome si usa «al posto del nome» e ne fa le veci. Il pronome, però, può sostituire anche altri elementi del discorso, come un aggettivo, un verbo, un altro pronome o un’intera frase, perciò è corretto chiamarlo sostituente. Esso è una parte variabile.
Il pronome può anche svolgere una funzione designativa, come nei pronomi personali.
Fare l’analisi grammaticale del pronome significa stabilire:
1) il tipo: personale (cfr. sotto), possessivo, dimostrativo, indefinito, relativo, misto, interrogativo o esclamativo4;
2) il genere: maschile o femminile;
3) il numero: singolare o plurale;
4) la funzione logica: soggetto, complemento oggetto (diretto), complemento indiretto (per i pronomi relativi o misti).
Esempi: «Il ragazzo che sta parlando è mio fratello» che è pronome relativo, masch., sing., soggetto;
«Sono i miei» miei è pronome possessivo, maschile, plurale, parte nominale.
In particolare, fare l’analisi grammaticale del pronome personale significa stabilire:
1) il tipo: pronome personale;
2) la persona: prima, seconda o terza
3) il numero: singolare o plurale;
4) il genere: maschile o femminile;
5) la funzione logica: soggetto, complemento oggetto, complemento indiretto5
6) la forma: tonica o atona (se ha funzione di pronome complemento);
7) il valore: riflessivo o no (se ha funzione di pronome complemento).
Esempi: egli è pronome personale di terza persona singolare, maschile, soggetto;
me è pronome personale di prima persona singolare, complemento, tonico.
Il verbo
Il verbo designa una azione (o uno stato), quindi fornisce la collocazione nel tempo e informazioni sul soggetto. E’ la parte più importante di una frase, potendola costituire da solo e senza la quale non è possibile esprimere un pensiero; è pertanto la «parola» per eccellenza. E’ una parte variabile.
Quando fungono da copula, anche se morfologicamente sono verbi, essi non hanno il compito di esprimere alcuna azione e, quindi, non danno luogo a un predicato verbale, ma a un predicato nominale (ad esempio: Il cielo è nuvoloso. Il cielo sembra sereno).
Fare l’analisi grammaticale del verbo significa stabilire:
1) la coniugazione cui la voce verbale appartiene: voce del verbo... della I, II, III coniugazione;
2) il modo6: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo, infinito, participio, gerundio;
3) il tempo: presente, imperfetto, passato-trapassato: prossimo o remoto, futuro semplice, anteriore;
4) la persona: prima, seconda, terza;
5) il numero: singolare o plurale;
6) il genere: transitivo o intransitivo;
7) la forma: attiva, passiva, riflessiva7 (sono le 3 forme personali), pronominale8, impersonale9;
8) l’eventuale funzione: ausiliare, servile10, causativo (o fattivo)11, fraseologico (o aspettuale)12 ;
9) l’eventuale caratteristica formale: coniugazione regolare o irregolare, difettivo (urgere non ha i tempi composti), sovrabbondante (adempiere/adempire).
Esempi: piove è voce del verbo piovere, II coniug, modo indicativo, tempo presente, impersonale;
(che tu) sia stato interpellato è voce del verbo interpellare, I coniugazione, modo congiuntivo, tempo passato, seconda persona singolare, forma passiva;
mi sveglierò è voce del verbo svegliarsi, I coniugazione, modo indicativo, futuro semplice, prima persona singolare, intransitivo pronominale;
ferveva è voce del verbo fervere, II coniug, modo indicat, tempo imperfetto, III pers. sing.
L’avverbio o modificante
L’avverbio si «aggiunge a un’altra parola» per modificarne il significato, qualificandolo o precisandolo. A differenza degli aggettivi, gli avverbi sono invariabili e non si aggiungono solo ai nomi, ma anche ad aggettivi, altri avverbi o a un’intera frase per modificarne il significato.
Fare l’analisi grammaticale dell’avverbio significa stabilire:
1) la categoria: avverbio o locuzione avverbiale;
2) il tipo: di modo, di tempo, di luogo, di quantità, di affermazione, di negoziazione, di dubbio, interrogativo o relativo;
3) la struttura morfologica: semplice o alterato;
4) il grado: positivo, comparativo o superlativo.
Esempi: talvolta è avverbio di tempo; all’antica è locuzione avverbiale;
meno è avverbio di quantità, di grado comparativo.
La preposizione o funzionale subordinante
La preposizione si «pone davanti» a una parola della frase per porla in relazione con un’altra parola della stessa frase (esempio: Il libro di Giovanni è rimasto sul tavolo in cucina). E’ invariabile.
La preposizione è dunque un segno funzionale, che cioè è usato per stabilire una relazione, per collegare, due elementi di una frase. La relazione che viene stabilita è di tipo subordinante.
Fare l’analisi grammaticale della preposizione significa stabilire:
1) la categoria: propria, impropria o locuzione prepositiva;
2) la struttura morfologica: semplice o articolata.
Esempi: in è preposizione propria, semplice; nel è preposizione propria articolata (in + il);
in base a è locuzione prepositiva semplice.
La congiunzione o funzionale coordinante e subordinante
La congiunzione serve a collegare, cioè «unire assieme», due parole di una proposizione o due proposizione in un periodo. E’ una parte invariabile.
Quindi anche la congiunzione è un segno funzionale che serve a stabilire una relazione che può essere coordinante, se le due parti unite sono sullo stesso piano logico, o subordinante, se la parte introdotta dalla congiunzione risulta su un piano logico dipendente. Il tipo di relazione che viene stabilito rappresenta il tipo della congiunzione stessa.
Fare l’analisi grammaticale della congiunzione significa stabilire:
1) la forma: semplice, composta, locuzione congiuntiva;
2) la funzione: coordinate o subordinate;
3) il tipo: copulativa, avversativa, disgiuntiva, dichiarativa, conclusiva, correlativa, finale, causale, consecutiva, temporale, concessiva, condizionale, modale, comparativa, limitativa, dubitativa e interrogativa, esclusiva o limitativa.
Esempi: e è congiunzione semplice coordinante, copulativa;
ma è congiunzione semplice coordinante, avversativa;
perché è congiunzione composta subordinate, finale o causale (a seconda del contesto).
L'interiezione o esclamazione
L’esclamazione serve a esprimere sensazioni, emozioni o stati d’animo: ha intensità espressiva, ma dal punto di vista sintattico non ha nessuna funzione ed è paragonabile a un brevissimo inciso. E’ anch’essa una parte invariabile del discorso.
Il tipo di emozione che esprime rappresenta il tipo dell’interiezione stessa.
Fare l’analisi grammaticale dell’interiezione significa stabilire:
1) la forma: propria, impropria, locuzione interiettiva;
2) il tipo: di stupore, di dolore, di gioia, di paura, ecc.
Esempi: ahi! è interiezione propria di dolore; santo cielo! è locuzione interiettiva di stupore.
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