Release Da Verizon ai nove colossi di internet, il tesoro digitale spiato dal governo Usa

Rootlf

Utente Senior
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16 Maggio 2013
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VERIZON, a quanto pare, era solo la punta dell'iceberg. Nsa e Fbi avrebbero accesso, almeno secondo le rivelazioni che stanno travolgendo l'amministrazione Obama in un datagate di proporzioni inimmaginabili, ai server di nove big company del web. Si tratta di Google (con YouTube), Microsoft (con Skype), Apple, Yahoo!, Aol, PalTalk e Facebook, finiti nel mirino di Prism, il programma di sicurezza per la Rete del governo federale statunitense. Le aziende in questione negano che occhi altrui abbiano scorso i loro datacenter. Ma qual è il target di questo controllo? Un'utenza mondiale spaventosa, che - pur mettendo insieme servizi piuttosto diversi e non direttamente addizionabili l'uno all'altro visto che ciascuno di noi può avere un numero indefinito di indirizzi e-mail, più profili sui social network e decine di altri accessi - tocca la mostruosa cifra di quasi tre miliardi di account. D'altronde, c'è anche da dire che su ogni profilo conserviamo spesso informazioni e contenuti almeno in parte differenti.

Insomma, mezzo mondo - almeno quello collegato - sotto osservazione. Dopo i numeri, la qualità e l'impatto: in quei server, stipati in ogni parte d'America e non solo, condividiamo le nostre vite. Basti pensare al complesso ecosistema costruito da Google intorno a social, posta, documenti e, ovviamente, video. Stesso discorso per Microsoft, Yahoo! o Apple, che della
filosofia cloud, cioè condividi online e sincronizza i tuoi contenuti ovunque, ha fatto una ragione di rilancio del proprio business. All'improvviso le nostre identità digitali rischiano di essere passate al setaccio dalle autorità statunitensi. Si pensava, forse. Lo si annusava da sempre con un tocco di dietrologismo. Non si sapeva né si poteva però dirlo con certezza. L'idea che questa stretta sorveglianza sia riservata solo a cittadini non americani che vivono fuori dagli Stati Uniti, come ha detto un alto esponente dell'amministrazione federale, vera o falsa che sia complica se possibile ancora di più il problema. Proprio in quella metà di mondo anche gli italiani, come le centinaia di milioni di utenti che sfruttano gli irrinunciabili servizi dei colossi di internet, conserva i propri dati, le proprie preferenze, i video, le foto e tutto quel corredo digitale che costituisce ormai parte integrante della vita quotidiana.

Google. Quello di Big G è un autentico ecosistema a 360 gradi. Non basta, infatti, la posta (GMail, il più grande servizio al mondo con oltre 400 milioni di utenti che gestiscono anche più indirizzi ciascuno): si aggiunge anche la condivisione dei documenti, degli impegni (Calendar) e una serie di altri servizi che permeano la vita di ogni giorno, aiutandoci a organizzarla. Solo nel 2010 Mountain View utilizzava la cifra-monstre di 900mila server per processare una mole pazzesca di dati, oltre ovviamente alle funzioni legate al suo motore di ricerca. Senza contare che il suo social network, Google+, vanta oltre 300 milioni di utenti attivi e 500 registrati. Anche quel profilo è alloggiato nei server di Google. E poi, ovviamente, c'è YouTube.

YouTube. Nel caso di YouTube, la piattaforma di videosharing più popolare del mondo, si parla di cifre ancora più da capogiro. Un miliardo di utenti superato da poco, grazie in particolare al boom di smartphone e tablet. Tutto rimane registrato nei dati di log: quali video abbiamo apprezzato, quali abbiamo visto di recente, cosa carichiamo e così via. In altre parole, quasi una persona su due che naviga su Internet carica o visualizza video su YouTube. Basti pensare che ogni mese vengono guardati oltre 4 miliardi di ore di video. Gli account sono in fase di progressiva e ormai quasi definitiva integrazione con quelli di Google. Il recinto è chiuso.

Microsoft. Anche Microsoft sfoggia un ecosistema importante, e fra l'altro pare sia stata la prima ad aprire i propri server alle autorità statunitensi. La posta? Negli ultimi mesi Microsoft ha convertito al nuovo dominio Outlook. com, il nuovo servizio di e-mail di Seattle, tutti gli ex utenti di Hotmail. Ora ha 400 milioni di utenti attivi, di cui 175 milioni usano regolarmente l'app da mobile. Buona parte dei problemi di privacy può anche legarsi alla piattaforma di gioco Xbox, di cui è stata appena lanciata la nuova versione, la One: uno strumento costantemente connesso con i server di Redmond in grado di consentire l'accesso istantaneo e simultaneo a film, TV in diretta e musica. Basti pensare che la 360, la console precedente, ne ha venduti oltre 80 milioni di pezzi. Ma sempre a Microsoft fanno ormai riferimento una serie di altri servizi come l'importantissimo Skype, il provider di chiamate VOiP spesso utilizzato per bypassare i fornitori tradizionali e che aveva già avuto, per conto suo, magagne legate alla vulnerabilità: ci passiamo due miliardi di minuti ogni giorno fra telefonate e videochat.

Facebook. La piattaforma di Mark Zuckerberg è forse quella più ghiotta, per chi dovesse decidere di tenerci sotto controllo. Per una ragione semplice: il miliardo di utenti profilati - ma quelli attivi mensilmente sono molti di meno, circa la metà - forniscono volontariamente ogni genere di preferenza, orientamento, parere, opinione. Insomma, quegli status che giravano col copia incolla, sollevando ogni autorità dal controllo dei propri dati, alla luce delgi ultimi avvenimenti non erano del tutto fuori dal mondo. D'altronde, quello che i federali hanno fatto negli Usa Facebook lo fa da tempo nelle sue stanze. Per esempio, ha da poco stretto un accordo con tre big data company statunitensi per integrare le proprie informazioni sulle nostre preferenze online con gli acquisti effettuali offline, nei negozi tradizionali. È insomma la carta d'identità più completa in circolazione.

Yahoo! Una delle prime big company del web - che gestisce anche newsgroup, messaggistica, foto di Flickr e da poco i blog di Tumblr, oltre a un sistema ramificato di forum - e passata da poco sotto la guida di Marissa Mayer sfoggia circa 300 milioni di utenti le cui caselle postali sono ospitate sui propri server. Ma il discorso è lo stesso per Google: tutti gli altri servizi, nei quali condividiamo contenuti di ogni genere, sono accessibili con lo stesso account e nella maggior parte delle volte ospitati dagli stessi server.

PalTalk. PalTalk è una videochat per sistemi operativi Windows, meno nota in Italia rispetto al player precedenti, che risponde ancora in parte alle vecchie logiche protointernet delle chat rooms, pubbliche o private. L'idea è dunque che i controllori possano aver navigato liberamente fra le conversazioni delle persone. Quattro milioni i membri attivi ogni mese sulla piattaforma, da sempre al centro delle autorità per il tipo di contenuti e informazioni che vi si scambierebbero.

Aol. È uno dei più grandi internet service provider del mondo. Insomma, dà accesso alla Rete a milioni di utenti, presente sul mercato italiano dal 2007. Anche in questo caso, oltre a una serie di servizi personalizzabili, c'è la possibilità di attivare una mailbox gratuita. Gli utenti, però, non sono paragonabili a quelli degli altri giganti: circa 25 milioni quelli attivi ogni mese contro gli oltre 400 di GMail.

Apple. Quello della Mela morsicata, con l'iCloud lanciato un paio d'anni fa, è un altro di quei mondi completamente online. Fra le nuvole, appunto. Nei server di Cupertino, a quanto pare fra le ultime aziende a cedere alle pressioni delle autorità, gli utenti Apple memorizzano e sincronizzano infatti tutti i loro contenuti, la vita intera in ogni sua sfaccettatura, dai contatti alle foto passando per video, brani musicali e le cronologie di navigazione, da un dispositivo all'altro. In questo caso la chiave è il famoso ID Apple, l'account con cui poter fare tutto: dagli acquisti su iTunes all'accesso ad iCloud fino alle azioni offline, come le assistenze. Apple dispone di più di 500 milioni di account di questo tipo ed è dunque seconda solo a Facebook come molte di utenti di cui gestisce molte delle interazioni online.

LaRepubblica.it