Palermo - Da quandfo Rosario Crocetta ha reso publico il suo programma di governo, la Sicilia trema, o per lo meno, tremano quelle istituzioni e quegli apparati che il governatore ha promesso di passare al setaccio per ridurre gli sprechi. I costi della politica, insomma, sono l'argomento del giorno. E da tempo, In Sicilia, sono sinonimo di spreco. E se di spreco si parla, va detto che per analizzare quanto costa la politica, il che rimane comunque un concetto relativo, il discorso deve essere appunto rapportato a cosati e benefici: se un apparato costa tanto, ma rende di più, allora ben venga. Il discorso quindi deve essere improntato soprattutto sulla qualità.
Qual'è il rapporto fra tasse e tributoi regionali di vario generre e servizi dati in cambio? La spesa per la pubblica istruzione è ripagata dalla qualità delle scuole?
Nel caso della Sicilia evidentemente no. La Regione non offre tanto quanto chiede ai cittadini. E la responsabilità è di chi ha governato negli ultimi decenni. Questo è un fatto innegabile. E dalla Sicilia il discorso può essere trasferito su scala nazionanle.
Non basta tuttavia ridurre le auto blu, tagliare appendici inuntili e altri ammennicoli copme i privilegi della casta politica. Bisogna andare al'osso, al nocciolo.
Il Paese è infatti vittima di una lunghissima serie di sprechi quantitativamente rilevanti ai fini del bilancio statale in settori di ogni tipo: sanità, infrastrutture, società partecipate, uffici pubblici, rimborsi elettorali ai partiti.
Quello di cui necessita il Paese sono scelte economicamente utili. Impresa fin'ora rivelatasi una vana speranza. Come vana speranza è trovare al governo elementi veramente validi che non facciano politica solo per riempire il portafioglio o per mera brama di potere.
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