- 21 Maggio 2009
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Ecco qui tutti i bidoni del calcio :
John Aloisi (Cremonese)
L'alibi è che è arrivato troppo presto nel calcio italiano, aveva infatti solamente vent'anni quando, nel gennaio del 1996, la Cremonese - che allora militava nella massima serie - decise di andare a prelevarlo dai belgi dell'Anversa. L'australiano, un attaccante piuttosto legnoso, non ha trovato nessuno a dargli fiducia nella terra dei suoi avi quando ha chiuso la parentesi grigiorossa ed è così volato prima in Inghilterra (Portsmouth e Coventry) e quindi in Spagna (Osasuna e Alaves). Gioca ancora, nel Sydney FC, e nella terra dei canguri è quasi un mito: 27 gol in nazionale
Gustavo Bartelt (Roma)
Poco chiaro il modo in cui ha ottenuto la cittadinanza italiana, ma alla fine è stato assolto. Poco chiaro come la Roma, nel 1998, abbia puntato su di lui, probabilmente ingolosita dalle reti messe a segno dall'attaccante argentino con il Lanus. E qui il biondo Bartelt, che in molti pensavano potesse rivelarsi il nuovo Claudio Caniggia, va condannato: l'assenza di gol nelle 15 presenze in A impediscono che possa farla franca. Il "Facha", quindi, non ha lasciato il segno da noi e neanche in Spagna, subito dopo, si è fatto apprezzare con la casacca del Rayo Vallecano. Automatico il rientro in patria, dove anche oggi, a 34 anni suonati, corre dietro a un pallone (gli All Boys la sua ultima squadra) e, ogni tanto, ma senza esagerare, lo butta dentro
Luther Blisset (Milan)
I tifosi del Milan, esasperati dall'incredibile numero di reti fallite, gliene hanno dette di tutti i colori nel corso della sua permanenza in rossonero andata in scena nella stagione 1983-84. Il grande maestro del giornalismo Gianni Brera lo chiamava Luther Callonissett, con chiaro riferimento a Egidio Calloni, altro attaccante del Diavolo noto per non essere propriamente spietato sottoporta. Insomma non si può proprio dire che l'inglese se la sia passata bene dalle nostre parti e il bottino si è in effetti rivelato misero: solamente cinque realizzazioni in campionato e un biglietto per il ritorno in Gran Bretagna, al Watford. "Una delle cose che ricordo con maggior affetto e che considero una delle più importanti è stata giocare assieme a Franco Baresi", ha detto di recente. Chissà se anche per Baresi è così...
Winston Bogarde (Milan)
Il rendimento dello storico trio olandese del Milan (Gullit, Rijkaard, Van Basten) ha spesso portato la dirigenza rossonera nei Paesi Bassi alla ricerca di qualche altro asso. Con Winston Bogarde è decisamente andata male. Il terzino sinistro, approdato sotto la Madonnina nell'estate del 1997, ci ha messo davvero poco per fare capire di essere distante anni luce dai più celebri connazionali: Capello l'ha spedito in panchina dopo tre sole apparizioni e a gennaio ha dato il beneplacito al suo trasferimento al Barcellona
Danny Dichio (Samp e Lecce)
Chi pensava che avesse appeso le scarpe al chiodo per manifesta scarsità è servito: a trentaquattro anni suonati il buon Danny (all'anagrafe Daniele Salvatore) gioca ancora e si batte come un leone su ogni pallone nella Major League Soccer, con la maglia dei canadesi del Toronto. In Italia non è che abbia lasciato un segno indelebile, il nativo di Hammersmith: tra Sampdoria e Lecce, nel 1997, pochissime presenze e due sole reti in campionato, entrambe con i salentini, prima del ritorno in Inghilterra (Sunderland, WBA, Derby County, Millwall e Preston).
Frank Farina (Bari)
Otto presenze in campionato, nessun gol realizzato: il bottino di Frank Farina al Bari (stagione 1991-92) non ha bisogno di ulteriori commenti. Eppure, quando sbarcò in Puglia, le credenziali dell'attaccante australiano non erano propriamente nulle: con il Bruges, in Belgio, aveva segnato reti a grappoli, conquistando anche il titolo di capocannoniere. Di fronte alla palese inadeguatezza il club dei Matarrese si ingegnò per trovargli una nuova collocazione: non al "San Nicola", naturalmente, e così Farina venne imbarcato su un aereo con destinazione Inghilterra, Notts County. Appese le scarpe al chiodo, l'oggi 45enne Farina ha intrapreso la carriera di allenatore e non gli è andata poi così male: è stato anche il c.t. dell'Australia sfiorando la qualificazione ai Mondiali.
Al Saadi Gheddafi (Perugia, Udinese e Sampdoria)
Terzogenito del capo di stato libico, Muammar Gheddafi, il rampollo di cotanto padre ha sempre avuto il calcio in testa. Ed è anche riuscito a giocare nella serie A italiana, pur non avendone i mezzi (tecnici, va specificato), perché in effetti di lui si può dire tranne che fosse un fuoriclasse. Il primo a fiutare l'affare, nel 2003, è stato l'allora presidente del Perugia, Luciano Gaucci, poi per l'attaccante nordafricano c'è stato posto (si fa per dire...) anche all'Udinese e alla Sampdoria. Il compianto professor Scoglio, quando era c.t. della Libia, non lo calcolava: "Non amo subire i ricatti di nessuno", diceva.
Vratislav Gresko (Inter)
Il suo nome, ancora oggi, fa venire l'orticaria ai tifosi dell'Inter, legato indissolubilmente com'è al "tragico" 5 maggio 2002 e alla sconfitta in casa della Lazio che costò ai nerazzurri uno scudetto che pareva già vinto e che invece finì nella bacheca della Juventus. Congedato dal presidente Moratti, lo slovacco, uno dei tanti terzini sinistri stritolati dal ricordo di Roberto Carlos, ha cercato di rilanciarsi al Parma, ma in Italia aveva già detto tutto e ha quindi capito che era meglio andare altrove, firmando per gli inglesi del Blackburn Rovers. Attualmente si guadagna la pagnotta al Bayer Leverkusen, in Germania.
Carsten Jancker (Udinese)
È senza dubbio sempre stato un giocatore non bello da vedere, con le sue leve lunghe e con la faccia non propriamente da compagnone: l'Udinese, che era ancora alla ricerca di un clone di Oliver Bierhoff, si è buttata su di lui nel 2002, prelevandolo da uno dei più importanti club d'Europa, il Bayern Monaco. Ma l'esperimento dei friulani si è rivelato quasi fallimentare, la poca tecnica individuale di Jancker l'ha messo in difficoltà con i rapidi difensori italiani e al pelatone di Grevesmuhlen non è restato che cambiare aria. E' stato anche in Cina, allo Shanghai Shenhua, prima di dire "ja" agli austriaci del Mattesburg, compagine con la quale gioca anche tuttora
Mario Jardel (Ancona)
Quando è arrivato in Italia, nel 2004, era già sovrappeso: ad Ancona, però, non parvero accorgersi e gli dettero fiducia, venendo ripagati dal brasiliano di Fortaleza con una serie di prestazioni ai limiti dell'inguardabilità. E' tutta qua la parentesi nella Penisola di un giocatore che sarebbe stato bello vedere correre sui nostri campi all'apice, quando vedeva la porta da ogni posizione e conquistava "Scarpe d'oro" a raffica grazie alle reti messe a segno con il Porto. Dopo avere ammesso di avere problemi con la droga ha cercato di rimettersi sulla strada maestra, continuando a strappare ingaggi in ogni parte del mondo (Argentina, Portogallo, Cipro, Australia). Ora "SuperMario" cerca di continuare a divertirsi, nella maniera più sana, in patria e sta giocando nel Ferroviario: quale squadra migliore per rimettersi sui binari?
Kazuyoshi Miura (Genoa)
È stato un autentico pioniere del calcio giapponese in Europa: il Genoa decise di ingaggiarlo anche per motivi prettamente commerciali.
Dai tifosi del Grifone viene ricordato con grande simpatia in modo particolare per avere messo a segno la rete che il 4 dicembre del 1994 ha permesso ai rossoblu di andare in vantaggio sui cugini della Sampdoria nel sentitissimo derby della Lanterna (poi vinto dai blucerchiati) ma anche per una serie incredibile di reti annullate per fuorigioco inesistente. Dopo la breve parentesi ligure è tornato in patria, ma ha nuovamente fatto una capatina nel Vecchio continente nel 1999 per militare nella Dinamo Zagabria.
Alexi Lalas (Padova)
Lunghi capelli rossi, barba caprina, tecnica calcistica piuttosto rudimentale. Il difensore statunitense non era certo tipo da passare inosservato con le scarpette ai piedi, strumento di lavoro che alternava a quelli musicali, essendo il chitarrista di una rock-band. Di origine greca (Panayotis il suo nome di battesimo), riuscì a convincere la dirigenza del Padova con un campionato del mondo (quello del 1994) senza infamia e senza lode e, a onore del vero, la sua prima stagione in biancoscudato è stata decente. Meno la seconda, cui ha fatto seguito il ritorno in America. Fino allo scorso anno Lalas - senza barba e con il capello corto - è stato il presidente dei Los Angeles Galaxy.
Jens Lehmann (Milan)
Il prossimo 10 novembre compirà quarant'anni in campo, visto che lo Stoccarda gli ha appena prolungato il contratto fino al 2010. E di sicuro in Germania, oltre che in Inghilterra (a lungo è stato tra i pali dell'Arsenal), il portiere nativo di Essen ha dato il meglio di sè. A differenza di quanto mostrato in Italia. Il Milan, che nel 1998 lo chiamò con l'obiettivo di mandare in pensione Sebastiano Rossi, si trovò alle prese con un estremo difensore nervoso e insicuro: memorabili le pallonate (e le reti) prese da Batistuta in un match con la Fiorentina stravinto dai viola. E così, dopo pochi mesi, Lehmann fece le valigie riconsegnando la porta rossonera all'altissimo romagnolo
Gaizka Mendieta (Lazio)
Nel 2007 ha lasciato il calcio senza che in molti se ne accorgessero: ha chiuso in Inghilterra, al Middlesbrough. Prima, però, ha fatto grandi cose al Valencia, tanto è vero che il presidente della Lazio, Sergio Cragnotti, per strapparlo ai levantini versò nelle loro casse 97 miliardi (stiamo parlando del 2001). Il centrocampista basco, però, in biancoceleste ha lasciato a desiderare, non riuscendo minimamente a esprimere le qualità che l'avevano portato a diventare un faro anche della nazionale spagnola. Un solo anno nella Capitale gli è stato sufficiente per capire che il nostro calcio non faceva per lui, troppe pressioni. La parabola discendente era già ampiamente cominciata...
Javi Moreno (Milan)
Ultimo domicilio conosciuto Ibiza per Javi Moreno, che però è riuscito nell'impresa di non incidere neanche nell'Eivissa, la squadra isolana che milita nell'equivalente spagnolo della nostra Seconda divisione, e ha quindi annunciato di volere appendere le scarpe al chiodo qualora nessuno decida di dargli ancora fiducia. Da dicembre, quindi, l'ex attaccante del Milan, oggi 34enne, è praticamente un disoccupato. Imbarazzante la sua esperienza in rossonero (stagione 2001-02), difficoltà nello spogliatoio (si dice che Laursen con lui entrasse durissimo nelle partitelle), ma soprattutto poca dimestichezza con la porta avversaria nelle rare volte in cui veniva chiamato campo. 2 soli gol un bilancio che gli è valso il ritorno in nella Penisola Iberica
Darko Pancev (Inter)
Il "*****" che non morse, ma che si lamentava con i giornalisti ("Se io sbaglio, voi dire me brocco. Se Van Basten cicca, voi scrivere Van Basten sfortunato"), ancora oggi ha il dente avvelenato ("L'Inter è stata il più grande sbaglio della mia vita. Nel ’91 mi volevano Milan, Barcellona, Manchester United, Real Madrid e sono finito in una squadra difensivista"). La società nerazzurra si affidò a Pancev convinta da quanto di buono aveva fatto con la maglia della Stella Rossa di Belgrado (conquista della Coppa dei campioni compresa), ma Darko fallì miseramente, anche perché non riusciva proprio a legare con il tecnico, Osvaldo Bagnoli, oltre che a non vedere la porta. In Macedonia, però, è un monumento nazionale: l'hanno eletto calciatore del secolo.
Reynald Pedros (Parma e Napoli)
È stato nel giro della Nazionale francese nei momenti peggiori dei "Galletti": dal 1993 al 1996, quando di vincere titoli non c'era neanche da pensarci e addirittura si restava fuori dai campionati del mondo. In Italia, dove siamo sempre attenti a quanto succede tra i cugini, è stato il Parma il primo club a puntare su di lui facendo riferimento al suo discreto curriculum (del Nantes era un elemento di spicco): in Emilia lo ricordano per il suo lento presidiare la fascia sinistra e per le parole di apprezzamento regalategli da un Carlo Ancelotti alle prime esperienze in panchina. Salutati i ducali, un nuovo tentativo a Napoli: peggio che peggio, praticamente un oggetto misterioso. Per il calciatore di origine spagnola a quel punto non è restato che tornare sui propri passi e ripartire verso la Francia. Oggi allena una formazione semidilettantistica.
Javier Portillo (Fiorentina)
È da così tanto tempo nel mondo del calcio che si potrebbe pensare di avere a che fare con un ultra-trentenne. In realtà Javier Portillo è nato il 30 maggio del 1982, pochi giorni prima del via ai Mondiali di Spagna tanto cari all'Italia. Esploso in erba nel Real Madrid, appena ha messo il piede fuori da casa - nella fattispecie per venire a giocare, in prestito, nella Fiorentina - si è perso e ancora oggi viene annoverato tra le "eterne promesse". Da dimenticare l'esperienza in viola, datata 2004-05: un solo gol e niente ritorno alla casa madre, ma il dirottamento in Belgio, al Bruges. Ora è all'Osasuna, ma fa tutto tranne che sfracelli
Ian Rush (Juventus)
Memori di quanto fece in bianconero John Charles, i dirigenti della Juventus pensarono di andare sul sicuro quando ingaggiarono Ian Rush, gallese come il "gigante buono". E d'altro canto le credenziali dell'attaccante del Liverpool non potevano essere sottovalutate, soprattutto alla luce di un innato senso del gol. Nulla di tutto ciò, invece. Rush - sbarcato a Torino nell'estate del 1987 - ebbe fin da subito una serie di problemi, a partire da quello, poi rivelatosi insormontabile, con la lingua italiana e in campo, abituato com'era alle marcature allegre dei britannici, si trovò a mal partito con i rudi centrali di casa nostra. Un anno gli fu sufficiente per capire che non era roba per lui, meglio tornare tra i "Reds". Dove però non è più riuscito a esprimersi come una volta
Bastos Tuta (Venezia)
È uno dei pochi giocatori nella storia del calcio a essere stato insultato dai compagni (oltre che, naturalmente, dagli avversari) per avere fatto gol: basterebbe questo biglietto da visita per capire che siamo a che fare con un elemento piuttosto singolare. Bastos Tuta, brasiliano che in Italia venne con una valigia piena di sogni, dovette scontrarsi con la triste realtà in un Venezia (la sua squadra)-Bari della stagione 1998-99. Non capiva bene l'italiano, si disse, e si disse che anche per questo motivo venne presto rispedito in patria dove ancora oggi cerca di fare il suo mestiere: realizzare reti, magari poi per essere festeggiato...
Marcos André Batista Santos "Vampeta" (Inter)
Per molti tifosi interisti il brasiliano rappresenta il flop dei flop: pagato 30 miliardi dal presidente Moratti, pare anche su suggerimento dell'amico e connazionale Ronaldo, doveva prendere la chiavi del centrocampo, in realtà collezionò due sole presenze in nerazzurro e, dopo pochi mesi, bocciato da Marco Tardelli, venne spedito in Francia al Paris Saint Germain. Lui, però, sognava ancora il Psv Eindhoven. "La mia seconda patria è l'Olanda, un Paese libero: donne, droga, birra. La gente fuma, beve e si fa gli affari propri", l'illuminato pensiero espresso di recente da Vampeta, un nomignolo che nasce dall'incrocio tra i termini "vampiro" e "diavolo" ("capeta" in portoghese).
Edwin Van Der Sar (Juventus)
Prima di arrivare in Italia il dinoccolato portiere olandese ha vinto una Champions League (con l'Ajax), dopo ne ha conquistata un'altra (con il Manchester United, squadra nella quale gioca tuttora, a 38 anni e mezzo). Ma quanto combinato con la maglia della Juventus è ancora oggi motivo di incubi per i tifosi bianconeri. Due stagioni (1999-2000, 2000-01), zero scudetti con la "Vecchia Signora", un soprannome un po' così ("Topo Gigio"), ma soprattutto una serie di papere, alcune delle quali, pare, arrivate per un problema alla vista.
Abel Xavier (Bari e Roma)
Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Però capita. Ed è successo ai dirigenti della Roma, che nel 2004 hanno pensato bene di riportarlo in Italia, non ricordando il suo meteorico passaggio di una decina di anni prima al Bari. Nato a Nampula, in Mozambico, ma di nazionalità portoghese, Abel Xavier è attualmente senza contratto dopo avere chiuso la sua esperienza con i Los Angeles Galaxy. Più che per le sue giocate (tutto sommato è un onesto difensore che ha militato in club importanti come Benfica, Psv e Liverpool), il nostro eroe tende a essere ricordato per il suo quasi improponibile look, che lo porta a sfoggiare capelli e barba biondo platino.
Aleksandr Zavarov (Juventus)
Il compito che gli venne affidato in Italia era arduo a dire poco: la Juventus lo chiamò per sostituire Michel Platini, l'asso francese che a soli 32 anni aveva deciso di dire basta. Missione fallita. Non solo l'ucraino fece rimpiangere "Le roi", ma non arrivò neanche a fornire un rendimento passabile, tanto è vero che quando i bianconeri se ne sbarazzarono fu già un mezzo miracolo rifilarlo al Nancy, l'unico club che pensò di potergli fare rinverdire i fasti della Dinamo. A 48 anni ora Zavarov allena l'Arsenal. Ma non quello di Londra, naturalmente. È tornato a Kiev.
Rabiu Afolabi (Napoli)
Uno dei precoci talenti sbocciati in Nigeria, che però si è ben presto un po' smarrito per strada, è arrivato a giocare anche in Italia, alla corte di Zdenek Zeman. Peccato per entrambi che il contatto - datato 2000 - sia coinciso con una delle peggiori stagioni del Napoli: il tecnico cercava di dargli una collocazione tattica precisa e l'africano o non capiva quanto gli veniva spiegato o preferiva fare di testa sua, fatto sta che ben presto è finito ai margini, pagando pure per l'esonero del boemo. Ora Afolabi è in Francia, al Sochaux, e sogna la Premier League: a 29 anni il centrale può ancora dire molto
Eccoli tutti qua Commentate Sui Bidoni xD:soso:
John Aloisi (Cremonese)
L'alibi è che è arrivato troppo presto nel calcio italiano, aveva infatti solamente vent'anni quando, nel gennaio del 1996, la Cremonese - che allora militava nella massima serie - decise di andare a prelevarlo dai belgi dell'Anversa. L'australiano, un attaccante piuttosto legnoso, non ha trovato nessuno a dargli fiducia nella terra dei suoi avi quando ha chiuso la parentesi grigiorossa ed è così volato prima in Inghilterra (Portsmouth e Coventry) e quindi in Spagna (Osasuna e Alaves). Gioca ancora, nel Sydney FC, e nella terra dei canguri è quasi un mito: 27 gol in nazionale
Gustavo Bartelt (Roma)
Poco chiaro il modo in cui ha ottenuto la cittadinanza italiana, ma alla fine è stato assolto. Poco chiaro come la Roma, nel 1998, abbia puntato su di lui, probabilmente ingolosita dalle reti messe a segno dall'attaccante argentino con il Lanus. E qui il biondo Bartelt, che in molti pensavano potesse rivelarsi il nuovo Claudio Caniggia, va condannato: l'assenza di gol nelle 15 presenze in A impediscono che possa farla franca. Il "Facha", quindi, non ha lasciato il segno da noi e neanche in Spagna, subito dopo, si è fatto apprezzare con la casacca del Rayo Vallecano. Automatico il rientro in patria, dove anche oggi, a 34 anni suonati, corre dietro a un pallone (gli All Boys la sua ultima squadra) e, ogni tanto, ma senza esagerare, lo butta dentro
Luther Blisset (Milan)
I tifosi del Milan, esasperati dall'incredibile numero di reti fallite, gliene hanno dette di tutti i colori nel corso della sua permanenza in rossonero andata in scena nella stagione 1983-84. Il grande maestro del giornalismo Gianni Brera lo chiamava Luther Callonissett, con chiaro riferimento a Egidio Calloni, altro attaccante del Diavolo noto per non essere propriamente spietato sottoporta. Insomma non si può proprio dire che l'inglese se la sia passata bene dalle nostre parti e il bottino si è in effetti rivelato misero: solamente cinque realizzazioni in campionato e un biglietto per il ritorno in Gran Bretagna, al Watford. "Una delle cose che ricordo con maggior affetto e che considero una delle più importanti è stata giocare assieme a Franco Baresi", ha detto di recente. Chissà se anche per Baresi è così...
Winston Bogarde (Milan)
Il rendimento dello storico trio olandese del Milan (Gullit, Rijkaard, Van Basten) ha spesso portato la dirigenza rossonera nei Paesi Bassi alla ricerca di qualche altro asso. Con Winston Bogarde è decisamente andata male. Il terzino sinistro, approdato sotto la Madonnina nell'estate del 1997, ci ha messo davvero poco per fare capire di essere distante anni luce dai più celebri connazionali: Capello l'ha spedito in panchina dopo tre sole apparizioni e a gennaio ha dato il beneplacito al suo trasferimento al Barcellona
Danny Dichio (Samp e Lecce)
Chi pensava che avesse appeso le scarpe al chiodo per manifesta scarsità è servito: a trentaquattro anni suonati il buon Danny (all'anagrafe Daniele Salvatore) gioca ancora e si batte come un leone su ogni pallone nella Major League Soccer, con la maglia dei canadesi del Toronto. In Italia non è che abbia lasciato un segno indelebile, il nativo di Hammersmith: tra Sampdoria e Lecce, nel 1997, pochissime presenze e due sole reti in campionato, entrambe con i salentini, prima del ritorno in Inghilterra (Sunderland, WBA, Derby County, Millwall e Preston).
Frank Farina (Bari)
Otto presenze in campionato, nessun gol realizzato: il bottino di Frank Farina al Bari (stagione 1991-92) non ha bisogno di ulteriori commenti. Eppure, quando sbarcò in Puglia, le credenziali dell'attaccante australiano non erano propriamente nulle: con il Bruges, in Belgio, aveva segnato reti a grappoli, conquistando anche il titolo di capocannoniere. Di fronte alla palese inadeguatezza il club dei Matarrese si ingegnò per trovargli una nuova collocazione: non al "San Nicola", naturalmente, e così Farina venne imbarcato su un aereo con destinazione Inghilterra, Notts County. Appese le scarpe al chiodo, l'oggi 45enne Farina ha intrapreso la carriera di allenatore e non gli è andata poi così male: è stato anche il c.t. dell'Australia sfiorando la qualificazione ai Mondiali.
Al Saadi Gheddafi (Perugia, Udinese e Sampdoria)
Terzogenito del capo di stato libico, Muammar Gheddafi, il rampollo di cotanto padre ha sempre avuto il calcio in testa. Ed è anche riuscito a giocare nella serie A italiana, pur non avendone i mezzi (tecnici, va specificato), perché in effetti di lui si può dire tranne che fosse un fuoriclasse. Il primo a fiutare l'affare, nel 2003, è stato l'allora presidente del Perugia, Luciano Gaucci, poi per l'attaccante nordafricano c'è stato posto (si fa per dire...) anche all'Udinese e alla Sampdoria. Il compianto professor Scoglio, quando era c.t. della Libia, non lo calcolava: "Non amo subire i ricatti di nessuno", diceva.
Vratislav Gresko (Inter)
Il suo nome, ancora oggi, fa venire l'orticaria ai tifosi dell'Inter, legato indissolubilmente com'è al "tragico" 5 maggio 2002 e alla sconfitta in casa della Lazio che costò ai nerazzurri uno scudetto che pareva già vinto e che invece finì nella bacheca della Juventus. Congedato dal presidente Moratti, lo slovacco, uno dei tanti terzini sinistri stritolati dal ricordo di Roberto Carlos, ha cercato di rilanciarsi al Parma, ma in Italia aveva già detto tutto e ha quindi capito che era meglio andare altrove, firmando per gli inglesi del Blackburn Rovers. Attualmente si guadagna la pagnotta al Bayer Leverkusen, in Germania.
Carsten Jancker (Udinese)
È senza dubbio sempre stato un giocatore non bello da vedere, con le sue leve lunghe e con la faccia non propriamente da compagnone: l'Udinese, che era ancora alla ricerca di un clone di Oliver Bierhoff, si è buttata su di lui nel 2002, prelevandolo da uno dei più importanti club d'Europa, il Bayern Monaco. Ma l'esperimento dei friulani si è rivelato quasi fallimentare, la poca tecnica individuale di Jancker l'ha messo in difficoltà con i rapidi difensori italiani e al pelatone di Grevesmuhlen non è restato che cambiare aria. E' stato anche in Cina, allo Shanghai Shenhua, prima di dire "ja" agli austriaci del Mattesburg, compagine con la quale gioca anche tuttora
Mario Jardel (Ancona)
Quando è arrivato in Italia, nel 2004, era già sovrappeso: ad Ancona, però, non parvero accorgersi e gli dettero fiducia, venendo ripagati dal brasiliano di Fortaleza con una serie di prestazioni ai limiti dell'inguardabilità. E' tutta qua la parentesi nella Penisola di un giocatore che sarebbe stato bello vedere correre sui nostri campi all'apice, quando vedeva la porta da ogni posizione e conquistava "Scarpe d'oro" a raffica grazie alle reti messe a segno con il Porto. Dopo avere ammesso di avere problemi con la droga ha cercato di rimettersi sulla strada maestra, continuando a strappare ingaggi in ogni parte del mondo (Argentina, Portogallo, Cipro, Australia). Ora "SuperMario" cerca di continuare a divertirsi, nella maniera più sana, in patria e sta giocando nel Ferroviario: quale squadra migliore per rimettersi sui binari?
Kazuyoshi Miura (Genoa)
È stato un autentico pioniere del calcio giapponese in Europa: il Genoa decise di ingaggiarlo anche per motivi prettamente commerciali.
Dai tifosi del Grifone viene ricordato con grande simpatia in modo particolare per avere messo a segno la rete che il 4 dicembre del 1994 ha permesso ai rossoblu di andare in vantaggio sui cugini della Sampdoria nel sentitissimo derby della Lanterna (poi vinto dai blucerchiati) ma anche per una serie incredibile di reti annullate per fuorigioco inesistente. Dopo la breve parentesi ligure è tornato in patria, ma ha nuovamente fatto una capatina nel Vecchio continente nel 1999 per militare nella Dinamo Zagabria.
Alexi Lalas (Padova)
Lunghi capelli rossi, barba caprina, tecnica calcistica piuttosto rudimentale. Il difensore statunitense non era certo tipo da passare inosservato con le scarpette ai piedi, strumento di lavoro che alternava a quelli musicali, essendo il chitarrista di una rock-band. Di origine greca (Panayotis il suo nome di battesimo), riuscì a convincere la dirigenza del Padova con un campionato del mondo (quello del 1994) senza infamia e senza lode e, a onore del vero, la sua prima stagione in biancoscudato è stata decente. Meno la seconda, cui ha fatto seguito il ritorno in America. Fino allo scorso anno Lalas - senza barba e con il capello corto - è stato il presidente dei Los Angeles Galaxy.
Jens Lehmann (Milan)
Il prossimo 10 novembre compirà quarant'anni in campo, visto che lo Stoccarda gli ha appena prolungato il contratto fino al 2010. E di sicuro in Germania, oltre che in Inghilterra (a lungo è stato tra i pali dell'Arsenal), il portiere nativo di Essen ha dato il meglio di sè. A differenza di quanto mostrato in Italia. Il Milan, che nel 1998 lo chiamò con l'obiettivo di mandare in pensione Sebastiano Rossi, si trovò alle prese con un estremo difensore nervoso e insicuro: memorabili le pallonate (e le reti) prese da Batistuta in un match con la Fiorentina stravinto dai viola. E così, dopo pochi mesi, Lehmann fece le valigie riconsegnando la porta rossonera all'altissimo romagnolo
Gaizka Mendieta (Lazio)
Nel 2007 ha lasciato il calcio senza che in molti se ne accorgessero: ha chiuso in Inghilterra, al Middlesbrough. Prima, però, ha fatto grandi cose al Valencia, tanto è vero che il presidente della Lazio, Sergio Cragnotti, per strapparlo ai levantini versò nelle loro casse 97 miliardi (stiamo parlando del 2001). Il centrocampista basco, però, in biancoceleste ha lasciato a desiderare, non riuscendo minimamente a esprimere le qualità che l'avevano portato a diventare un faro anche della nazionale spagnola. Un solo anno nella Capitale gli è stato sufficiente per capire che il nostro calcio non faceva per lui, troppe pressioni. La parabola discendente era già ampiamente cominciata...
Javi Moreno (Milan)
Ultimo domicilio conosciuto Ibiza per Javi Moreno, che però è riuscito nell'impresa di non incidere neanche nell'Eivissa, la squadra isolana che milita nell'equivalente spagnolo della nostra Seconda divisione, e ha quindi annunciato di volere appendere le scarpe al chiodo qualora nessuno decida di dargli ancora fiducia. Da dicembre, quindi, l'ex attaccante del Milan, oggi 34enne, è praticamente un disoccupato. Imbarazzante la sua esperienza in rossonero (stagione 2001-02), difficoltà nello spogliatoio (si dice che Laursen con lui entrasse durissimo nelle partitelle), ma soprattutto poca dimestichezza con la porta avversaria nelle rare volte in cui veniva chiamato campo. 2 soli gol un bilancio che gli è valso il ritorno in nella Penisola Iberica
Darko Pancev (Inter)
Il "*****" che non morse, ma che si lamentava con i giornalisti ("Se io sbaglio, voi dire me brocco. Se Van Basten cicca, voi scrivere Van Basten sfortunato"), ancora oggi ha il dente avvelenato ("L'Inter è stata il più grande sbaglio della mia vita. Nel ’91 mi volevano Milan, Barcellona, Manchester United, Real Madrid e sono finito in una squadra difensivista"). La società nerazzurra si affidò a Pancev convinta da quanto di buono aveva fatto con la maglia della Stella Rossa di Belgrado (conquista della Coppa dei campioni compresa), ma Darko fallì miseramente, anche perché non riusciva proprio a legare con il tecnico, Osvaldo Bagnoli, oltre che a non vedere la porta. In Macedonia, però, è un monumento nazionale: l'hanno eletto calciatore del secolo.
Reynald Pedros (Parma e Napoli)
È stato nel giro della Nazionale francese nei momenti peggiori dei "Galletti": dal 1993 al 1996, quando di vincere titoli non c'era neanche da pensarci e addirittura si restava fuori dai campionati del mondo. In Italia, dove siamo sempre attenti a quanto succede tra i cugini, è stato il Parma il primo club a puntare su di lui facendo riferimento al suo discreto curriculum (del Nantes era un elemento di spicco): in Emilia lo ricordano per il suo lento presidiare la fascia sinistra e per le parole di apprezzamento regalategli da un Carlo Ancelotti alle prime esperienze in panchina. Salutati i ducali, un nuovo tentativo a Napoli: peggio che peggio, praticamente un oggetto misterioso. Per il calciatore di origine spagnola a quel punto non è restato che tornare sui propri passi e ripartire verso la Francia. Oggi allena una formazione semidilettantistica.
Javier Portillo (Fiorentina)
È da così tanto tempo nel mondo del calcio che si potrebbe pensare di avere a che fare con un ultra-trentenne. In realtà Javier Portillo è nato il 30 maggio del 1982, pochi giorni prima del via ai Mondiali di Spagna tanto cari all'Italia. Esploso in erba nel Real Madrid, appena ha messo il piede fuori da casa - nella fattispecie per venire a giocare, in prestito, nella Fiorentina - si è perso e ancora oggi viene annoverato tra le "eterne promesse". Da dimenticare l'esperienza in viola, datata 2004-05: un solo gol e niente ritorno alla casa madre, ma il dirottamento in Belgio, al Bruges. Ora è all'Osasuna, ma fa tutto tranne che sfracelli
Ian Rush (Juventus)
Memori di quanto fece in bianconero John Charles, i dirigenti della Juventus pensarono di andare sul sicuro quando ingaggiarono Ian Rush, gallese come il "gigante buono". E d'altro canto le credenziali dell'attaccante del Liverpool non potevano essere sottovalutate, soprattutto alla luce di un innato senso del gol. Nulla di tutto ciò, invece. Rush - sbarcato a Torino nell'estate del 1987 - ebbe fin da subito una serie di problemi, a partire da quello, poi rivelatosi insormontabile, con la lingua italiana e in campo, abituato com'era alle marcature allegre dei britannici, si trovò a mal partito con i rudi centrali di casa nostra. Un anno gli fu sufficiente per capire che non era roba per lui, meglio tornare tra i "Reds". Dove però non è più riuscito a esprimersi come una volta
Bastos Tuta (Venezia)
È uno dei pochi giocatori nella storia del calcio a essere stato insultato dai compagni (oltre che, naturalmente, dagli avversari) per avere fatto gol: basterebbe questo biglietto da visita per capire che siamo a che fare con un elemento piuttosto singolare. Bastos Tuta, brasiliano che in Italia venne con una valigia piena di sogni, dovette scontrarsi con la triste realtà in un Venezia (la sua squadra)-Bari della stagione 1998-99. Non capiva bene l'italiano, si disse, e si disse che anche per questo motivo venne presto rispedito in patria dove ancora oggi cerca di fare il suo mestiere: realizzare reti, magari poi per essere festeggiato...
Marcos André Batista Santos "Vampeta" (Inter)
Per molti tifosi interisti il brasiliano rappresenta il flop dei flop: pagato 30 miliardi dal presidente Moratti, pare anche su suggerimento dell'amico e connazionale Ronaldo, doveva prendere la chiavi del centrocampo, in realtà collezionò due sole presenze in nerazzurro e, dopo pochi mesi, bocciato da Marco Tardelli, venne spedito in Francia al Paris Saint Germain. Lui, però, sognava ancora il Psv Eindhoven. "La mia seconda patria è l'Olanda, un Paese libero: donne, droga, birra. La gente fuma, beve e si fa gli affari propri", l'illuminato pensiero espresso di recente da Vampeta, un nomignolo che nasce dall'incrocio tra i termini "vampiro" e "diavolo" ("capeta" in portoghese).
Edwin Van Der Sar (Juventus)
Prima di arrivare in Italia il dinoccolato portiere olandese ha vinto una Champions League (con l'Ajax), dopo ne ha conquistata un'altra (con il Manchester United, squadra nella quale gioca tuttora, a 38 anni e mezzo). Ma quanto combinato con la maglia della Juventus è ancora oggi motivo di incubi per i tifosi bianconeri. Due stagioni (1999-2000, 2000-01), zero scudetti con la "Vecchia Signora", un soprannome un po' così ("Topo Gigio"), ma soprattutto una serie di papere, alcune delle quali, pare, arrivate per un problema alla vista.
Abel Xavier (Bari e Roma)
Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Però capita. Ed è successo ai dirigenti della Roma, che nel 2004 hanno pensato bene di riportarlo in Italia, non ricordando il suo meteorico passaggio di una decina di anni prima al Bari. Nato a Nampula, in Mozambico, ma di nazionalità portoghese, Abel Xavier è attualmente senza contratto dopo avere chiuso la sua esperienza con i Los Angeles Galaxy. Più che per le sue giocate (tutto sommato è un onesto difensore che ha militato in club importanti come Benfica, Psv e Liverpool), il nostro eroe tende a essere ricordato per il suo quasi improponibile look, che lo porta a sfoggiare capelli e barba biondo platino.
Aleksandr Zavarov (Juventus)
Il compito che gli venne affidato in Italia era arduo a dire poco: la Juventus lo chiamò per sostituire Michel Platini, l'asso francese che a soli 32 anni aveva deciso di dire basta. Missione fallita. Non solo l'ucraino fece rimpiangere "Le roi", ma non arrivò neanche a fornire un rendimento passabile, tanto è vero che quando i bianconeri se ne sbarazzarono fu già un mezzo miracolo rifilarlo al Nancy, l'unico club che pensò di potergli fare rinverdire i fasti della Dinamo. A 48 anni ora Zavarov allena l'Arsenal. Ma non quello di Londra, naturalmente. È tornato a Kiev.
Rabiu Afolabi (Napoli)
Uno dei precoci talenti sbocciati in Nigeria, che però si è ben presto un po' smarrito per strada, è arrivato a giocare anche in Italia, alla corte di Zdenek Zeman. Peccato per entrambi che il contatto - datato 2000 - sia coinciso con una delle peggiori stagioni del Napoli: il tecnico cercava di dargli una collocazione tattica precisa e l'africano o non capiva quanto gli veniva spiegato o preferiva fare di testa sua, fatto sta che ben presto è finito ai margini, pagando pure per l'esonero del boemo. Ora Afolabi è in Francia, al Sochaux, e sogna la Premier League: a 29 anni il centrale può ancora dire molto
Eccoli tutti qua Commentate Sui Bidoni xD:soso: