- 26 Settembre 2008
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La città di Ember non ha mai visto il cielo. Da secoli prospera nel sottosuolo, illuminata da un generatore e concepita dai costruttori come un rifugio con un'autonomia di 200 anni. Ma due secoli sono passati, i blackout si fanno sempre più frequenti, le scorte alimentari si vanno esaurendo e i cittadini cominciano a temere l'oscurità eterna. Oltre Ember, dicono tutti, non c'è nient'altro che Ember, ma due ragazzi non la pensano così: Lina Mayfleet e Doon Harrow sono entrati in possesso di una misteriosa cassetta con delle istruzioni e sono convinti che li aiuterà a salvare la città, ma per farlo devono prima trovare la via d'uscita.
Ember – Il mistero della città di luce è un racconto di (ri)fondazione che narra di come due giovani, trovandosi in eredità una società imperfetta -corrotta, istupidita, letteralmente accecata- si mettono in gioco per migliorarla, sfidando la proibizione e andando ad osservare il mondo al di fuori del loro. Così facendo disobbediscono imperdonabilmente al giuramento che vorrebbe l'artificiale Ember “l'unica luce in un mondo di tenebre”. Quest'idea progressista si esplicita in una metafora più che mai natalizia e quasi didascalica per cui al termine della caccia al tesoro dei due protagonisti c'è la promessa di una luce vera e di una rinascita collettiva.
Il nuovo millennio è arrivato ma non c'è dubbio alcuno che viviamo ancora un'atmosfera fin de siècle, speriamo che ci sia un nuovo inizio alle porte ma non abbiamo ancora trovato le chiavi. Il film di Gil Kenan sembra dirci che lo strumento magico di questa umana ricerca sono le relazioni, cadute in disuso o temute (perché, per esempio, non è il caso di raggiungere la casa di un amico quando lungo la strada può sorprenderti un blackout): non per niente Lina è una messaggera e Doon un addetto alle tubature (la rete), mentre la nonna di Lina vive in un negozio di lana che altro non è se non un enorme groviglio, un'architettura di cui si è perso il senso, sineddoche della città abbandonata dai costruttori al suo destino.
Tratto dal romanzo di Jeanne DuPrau, scritto negli anni Ottanta ma frutto del ricordo giovanile della scrittrice di un'era di paura legata allo spettro del nucleare, Ember non scomoda un paragone con il Village di Shyamalan né con le dark stories di Tim Burton sceneggiate dalla stessa Caroline Thompson che ha trasformato il libro della DuPrau in film. Si situa al di sotto, fantasioso nel concepire l'idea di una città che ha superato la data di scadenza, suggestivo nell'impianto visivo, ma imperdonabile nelle motivazioni iniziali, vaghe, e nella coincidenza finale, inverosimile. Non si fa.
Fonte: web
Ember – Il mistero della città di luce è un racconto di (ri)fondazione che narra di come due giovani, trovandosi in eredità una società imperfetta -corrotta, istupidita, letteralmente accecata- si mettono in gioco per migliorarla, sfidando la proibizione e andando ad osservare il mondo al di fuori del loro. Così facendo disobbediscono imperdonabilmente al giuramento che vorrebbe l'artificiale Ember “l'unica luce in un mondo di tenebre”. Quest'idea progressista si esplicita in una metafora più che mai natalizia e quasi didascalica per cui al termine della caccia al tesoro dei due protagonisti c'è la promessa di una luce vera e di una rinascita collettiva.
Il nuovo millennio è arrivato ma non c'è dubbio alcuno che viviamo ancora un'atmosfera fin de siècle, speriamo che ci sia un nuovo inizio alle porte ma non abbiamo ancora trovato le chiavi. Il film di Gil Kenan sembra dirci che lo strumento magico di questa umana ricerca sono le relazioni, cadute in disuso o temute (perché, per esempio, non è il caso di raggiungere la casa di un amico quando lungo la strada può sorprenderti un blackout): non per niente Lina è una messaggera e Doon un addetto alle tubature (la rete), mentre la nonna di Lina vive in un negozio di lana che altro non è se non un enorme groviglio, un'architettura di cui si è perso il senso, sineddoche della città abbandonata dai costruttori al suo destino.
Tratto dal romanzo di Jeanne DuPrau, scritto negli anni Ottanta ma frutto del ricordo giovanile della scrittrice di un'era di paura legata allo spettro del nucleare, Ember non scomoda un paragone con il Village di Shyamalan né con le dark stories di Tim Burton sceneggiate dalla stessa Caroline Thompson che ha trasformato il libro della DuPrau in film. Si situa al di sotto, fantasioso nel concepire l'idea di una città che ha superato la data di scadenza, suggestivo nell'impianto visivo, ma imperdonabile nelle motivazioni iniziali, vaghe, e nella coincidenza finale, inverosimile. Non si fa.
Fonte: web