- 8 Aprile 2010
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Le Tre Guerre Persiane (Inizio - Fine)
Con il termine guerre persiane si definisce la sequenza di conflitti combattuti tra le poleis greche e l'Impero Persiano, iniziati intorno al 500 a.C. e continuati a più riprese fino al 449 a.C.
Alla fine del VI secolo a.C., Dario I, "Gran Re" dei Persiani, regnava su un impero immenso che si estendeva dall'India alle sponde orientali dell'Europa (nello specifico le zone orientali della Tracia). Nel 546 a.C. infatti, il suo predecessore, Ciro il Grande, fondatore dell'impero, aveva sconfitto il re della Lidia, Creso, e i suoi territori, comprendenti le colonie greche della Ionia, furono incorporate all'Impero Achemenide.
Le città stato ancora governate da sistemi tirannici condussero ognuna per proprio conto l'annessione all'impero persiano, la sola Mileto riuscì a imporre le proprie pretese. Questa situazione di frammentazione aveva comportato la perdita definitiva da parte delle colonie di ogni indipendenza (prima godevano comunque di ampie autonomie) e una drastica riduzione della loro importanza commerciale, a causa del controllo totale che i Persiani esercitavano sugli stretti di accesso al Mar Nero.
Quando Dario I decise di invadere l'Occidente nel 515 a.C. utilizzò le navi della flotta ionica per costruire un ponte di barche sul Bosforo utilizzando le qualità di un ingegnere greco, conquistando così la Tracia; fatto poi costruire un ponte sul Danubio, si avventurò in Scizia. Qui gli esiti degli scontri non furono molto propizi e giunte le prime indiscrezioni sul fallimento dell'invasione, Milziade, tiranno del Chersoneso (presso Gallipoli), cercò di convincere i Greci messi a protezione del ponte di distruggerlo, lasciando il Re dei Re al suo destino. Quando le notizie divennero tragiche il ponte venne distrutto per impedire una contro offensiva. A costo di grandi sacrifici Dario rientrò nei suoi territori e come primo provvedimento scalzò Milziade dal suo incarico, lasciandovi il suo luogotenente Megabazo, con il compito di controllare la nuova regione dell'impero e di preparare il terreno per l'espansione in Grecia.
Alla base dello scontro tra Grecia e Persia c'erano forti interessi economici e commerciali, relativi soprattutto al controllo dei commerci che passavano per il Mar Nero, ma non solo. I due contendenti avevano due diverse concezioni di dominio politico, che inevitabilmente si scontravano tra loro.
I Persiani avevano una concezione territoriale dello stato, cioè il dominio su un territorio indipendentemente dai popoli che lo abitavano. Perciò ritenevano che i Greci non avessero avuto nessun diritto ad intervenire in un conflitto che non era avvenuto sul loro territorio.
I Greci invece avevano una concezione etnica dello stato, cioè che indipendentemente da dove si trovasse questo territorio, se era abitato da Greci, era greco.
La Prima Guerra Persiana
Lo sbarco in Grecia voluto da Dario I va contro la sua politica trentennale, basata sul consolidamento dei confini del vasto Impero Achemenide. Infatti può essere considerato il suo primo vero tentativo di espansione territoriale, considerando la conquista della Tracia più utile a rendere sicure entrambe le sponde dell'Ellesponto. La campagna intrapresa contro la Grecia ebbe ragioni più profonde e che non delineavano apertamente l'obiettivo finale. Si voleva punire Atene ed Eretria, ritenute colpevoli di aver aiutato le città ioniche ribelli nella rivolta ionia, o conquistare tutta la Grecia? Comunque sia, Erodoto sostiene che il sovrano chiese a tutte le poleis greche di fare atto di sottomissione, per poi intervenire contro quelle a lui ostiche. Infatti Atene giustiziò gli ambasciatori quando seppe che ad Egina, la quale aveva ceduto alle pressioni persiane, era stata restaurata la tirannide del ben noto Ippia. Sicuramente era intenzione di Dario vendicarsi contro coloro che avevano aiutato i rivoltosi ionii, città che vennero infine attaccate, ma le sue mire andavano più in là, oltre l'episodio di Sardi. Dopo la cacciata di Ippia da Atene, egli trovò rifugio alla corte Achemenide chiedendovi aiuto per un suo ritorno come tiranno in patria, fornendo in cambio una base di appoggio dalla quale conquistare l'intera Ellade. Forse questo motivò l'ambizione di Dario che avrebbe potuto con una guerra di espansione competere con le figure dei suoi predecessori: Ciro il Grande e Cambise II. Da non sottovalutare che dopo la rivolta ionia, si era aperta una ferita nel mondo greco, tenere una popolazione metà nelle strutture dell'Impero e metà fuori non poteva che far esplodere nuove tensioni.
Seconda e Terza Guerra Persiana
Nel 486 a.C. a Dario I succedette Serse I. Il figlio decise di vendicare la sconfitta paterna e organizzò subito una nuova spedizione. Se la guerra portata da Dario doveva configurarsi solamente come spedizione punitiva nei confronti delle città che avevano aiutato i rivoltosi ionii, l'impresa di Serse si poneva, invece, intenti di espansione e conquista territoriale del continente greco, al fine di ridurlo a satrapia dell'Impero.
Lo scontro assunse anche una valenza ideologica, in quanto si espresse come contrapposizione propagandistica di idee in ateniesi: Serse rappresentava il difensore di una religione monoteistica, contro il politeismo greco; i Greci,viceversa, si identificavano come i paladini della libertà contro il dispotismo orientale. Serse affidò al generale Mardonio la costruzione di ponti di barche sull'Ellesponte per traghettare l'esercito e l'apertura di un canale a nord del monte Athos per la flotta (il cosiddetto Canale di Serse); curò inoltre l'organizzazione del vettovagliamento dell'esercito. Si trattava di una spedizione più vasta ed organizzata della precedente. Inoltre il re persiano fece predisporre per la campagna un possente esercito, che secondo le antiche stime annoverava oltre due milioni di uomini, cifra certamente esagerata, comunque l'esercito persiano contava probabilmente su una forza di circa 200.000 soldati, un numero imponente per l'epoca, e tra questi i famosi 10.000 "Immortali"; inoltre poteva contare sull'appoggio di una flotta di circa 750 triremi.
Di fronte al pericolo i rappresentanti delle poleis greche si riunirono presso l'istmo di Corinto (481 a.C.) e decisero di costituire un'alleanza difensiva, conosciuta come lega panellenica, sotto il comando del re Leonida di Sparta, ritenendo che fosse opportuno coordinare le operazioni militari e qualunque decisione di carattere politico e strategico. All'accordo tuttavia non aderirono Argo, dichiarandosi neutrale per non dover combattere a fianco dell'odiata Sparta, Corcira, Siracusa (a causa degli scontri che la vedevano impegnata con i Cartaginesi, alleati dei Persiani) e neanche le città della Tessaglia, della Beozia, fuorché Platea e Tespi, della Doride e della Locride Ozolia. Le città che non si opposero ai Persiani preferendo arrendersi e lasciare terra all'esercito di Serse vennero accusate di "medizzare" ossia di mescolarsi con i Medi o comunque favorire i Persiani a danno dei Greci.
All'inizio del 480 a.C. gli ambasciatori di Serse I si recarono presso le città greche (ma non Atene, che non avrebbero comunque risparmiato) e chiesero che offrissero loro terra e acqua al Gran Re, cioè la loro sottomissione formale. Le città rifiutarono e rimandarono indietro i messaggeri, mentre a Sparta furono uccisi. Incominciarono le operazioni belliche: mentre la flotta persiana navigava verso l'Attica, l'esercito passò l'Ellesponto con un ponte di barche e penetrò prima in Tracia e poi in Tessaglia.
I Greci si trovarono però subito in disaccordo su quale fosse la migliore tattica difensiva: gli Spartani premevano perché si affrontassero i Persiani sulla terraferma e lo si facesse all'imbocco del Peloponneso, presso l'istmo di Corinto, che nel frattempo veniva fortificato; gli Ateniesi ritenevano invece che fosse preferibile opporsi con la flotta. Sui due diversi punti di vista pesava soprattutto la considerazione dei rapporti di forza all'interno della Grecia, dato che la fanteria oplitica spartana era di gran lunga la più forte e un'eventuale vittoria sulla terra ferma avrebbe arrecato gloria e potere soprattutto agli Spartani, mentre Atene avrebbe ricavato benefici da una vittoria navale, dato che le sue navi costituivano il grosso della flotta della Lega.
Nonostante i progetti di iniziativa comune, i Greci si presentarono dunque sostanzialmente divisi di fronte all'invasione: prevalse il piano spartano, ma gli Ateniesi spinsero perché si cercasse di fermare il nemico più a nord. A causa di questi contrasti, e giudicando erroneamente che Serse fosse ancora lontano, solo un ristretto contingente si posizionò al passo delle Termopili, che era la strettoia obbligata verso la Grecia centrale, per sbarrare la strada ai nemici. Nell'agosto del 480 a.C. avvenne lo scontro tra i due eserciti. Dopo giorni di combattimento, mentre, poco distante, le forze navali nemiche si fronteggiavano senza che l'una riuscisse a prevalere nettamente sull'altra presso Capo Artemisio, il grosso dell'esercito greco si ritirò, tranne i trecento Spartani di Leonida e i settecento Tespiesi che, circondati dai nemici per il tradimento di Efialte, il quale aveva indicato ai Persiani un sentiero montano, l'Anopaia, per aggirarli (i mille Focesi posti a presidiarlo furono colti di sorpresa nella notte e opposero scarsa resistenza), si sacrificheranno per ritardare l'avanzata persiana e dare tempo agli alleati di ripiegare. Superato il passo, i Persiani dilagarono in Grecia.
L'Attica e la Beozia furono devastate, Atene venne saccheggiata e data alle fiamme. Gli abitanti si salvarono solo grazie all'insistenza dello stratega Temistocle, che riuscì ad evacuare la città e a mettere la popolazione in salvo sulle isole. La flotta greca, però, era ancora pressoché integra.
A questo punto prevalse la strategia della battaglia per mare dell'ateniese Temistocle, il quale, ancor prima dell'inizio degli scontri, si era servito dell'interpretazione tendenziosa di un oracolo pronunciato dalla Pizia, ove si alludeva enigmaticamente ad un muro di legno inespugnabile, per convincere i concittadini della bontà dei suoi disegni. Temistocle era persuaso che il muro dovesse essere interpretato non come l'invito a barricarsi nelle città, ma in riferimento alle navi. A un mese dalla disfatta delle Termopili, in settembre, avvenne la decisiva battaglia navale presso l'isola di Salamina, vinta dai Greci grazie a Temistocle, che indicò la via per avere ragione della flotta persiana, più numerosa, ma che usava navi troppo grandi e difficilmente maneggiabili in quel tratto così stretto di mare.
Un contingente persiano si fermò in Tessaglia da dove, con il contributo dei Tebani, nell'agosto del 479 a.C., fece ripartire l'offensiva persiana. Nella battaglia campale di Platea, in Beozia, ci fu la sconfitta definitiva, con l'esercito persiano messo in fuga da quello greco, guidato dallo spartano Pausania, mentre in contemporanea sotto il comando di Leotichida avveniva la battaglia navale presso il capo Micàle, che si risolse in un'altra sconfitta per i Persiani.
L'anno dopo (478 a.C.) le città ionie dell'Asia Minore furono liberate da una flotta greca guidata dallo spartano Pausania (che da lì a poco fu richiamato in patria ed accusato di dispotismo).
A questo punto Atene rimase la sola potenza ellenica interessata all'Egeo e alla Ionia, contro i Persiani. Gli Spartani, infatti si dedicarono a ristabilire il loro predominio politico in Peloponneso, minacciato da "venti democratici", mentre Atene spostò il suo interesse nell'Egeo dove non dipendeva strategicamente da Sparta.
Con il termine guerre persiane si definisce la sequenza di conflitti combattuti tra le poleis greche e l'Impero Persiano, iniziati intorno al 500 a.C. e continuati a più riprese fino al 449 a.C.
Alla fine del VI secolo a.C., Dario I, "Gran Re" dei Persiani, regnava su un impero immenso che si estendeva dall'India alle sponde orientali dell'Europa (nello specifico le zone orientali della Tracia). Nel 546 a.C. infatti, il suo predecessore, Ciro il Grande, fondatore dell'impero, aveva sconfitto il re della Lidia, Creso, e i suoi territori, comprendenti le colonie greche della Ionia, furono incorporate all'Impero Achemenide.
Le città stato ancora governate da sistemi tirannici condussero ognuna per proprio conto l'annessione all'impero persiano, la sola Mileto riuscì a imporre le proprie pretese. Questa situazione di frammentazione aveva comportato la perdita definitiva da parte delle colonie di ogni indipendenza (prima godevano comunque di ampie autonomie) e una drastica riduzione della loro importanza commerciale, a causa del controllo totale che i Persiani esercitavano sugli stretti di accesso al Mar Nero.
Quando Dario I decise di invadere l'Occidente nel 515 a.C. utilizzò le navi della flotta ionica per costruire un ponte di barche sul Bosforo utilizzando le qualità di un ingegnere greco, conquistando così la Tracia; fatto poi costruire un ponte sul Danubio, si avventurò in Scizia. Qui gli esiti degli scontri non furono molto propizi e giunte le prime indiscrezioni sul fallimento dell'invasione, Milziade, tiranno del Chersoneso (presso Gallipoli), cercò di convincere i Greci messi a protezione del ponte di distruggerlo, lasciando il Re dei Re al suo destino. Quando le notizie divennero tragiche il ponte venne distrutto per impedire una contro offensiva. A costo di grandi sacrifici Dario rientrò nei suoi territori e come primo provvedimento scalzò Milziade dal suo incarico, lasciandovi il suo luogotenente Megabazo, con il compito di controllare la nuova regione dell'impero e di preparare il terreno per l'espansione in Grecia.
Alla base dello scontro tra Grecia e Persia c'erano forti interessi economici e commerciali, relativi soprattutto al controllo dei commerci che passavano per il Mar Nero, ma non solo. I due contendenti avevano due diverse concezioni di dominio politico, che inevitabilmente si scontravano tra loro.
I Persiani avevano una concezione territoriale dello stato, cioè il dominio su un territorio indipendentemente dai popoli che lo abitavano. Perciò ritenevano che i Greci non avessero avuto nessun diritto ad intervenire in un conflitto che non era avvenuto sul loro territorio.
I Greci invece avevano una concezione etnica dello stato, cioè che indipendentemente da dove si trovasse questo territorio, se era abitato da Greci, era greco.
La Prima Guerra Persiana
Lo sbarco in Grecia voluto da Dario I va contro la sua politica trentennale, basata sul consolidamento dei confini del vasto Impero Achemenide. Infatti può essere considerato il suo primo vero tentativo di espansione territoriale, considerando la conquista della Tracia più utile a rendere sicure entrambe le sponde dell'Ellesponto. La campagna intrapresa contro la Grecia ebbe ragioni più profonde e che non delineavano apertamente l'obiettivo finale. Si voleva punire Atene ed Eretria, ritenute colpevoli di aver aiutato le città ioniche ribelli nella rivolta ionia, o conquistare tutta la Grecia? Comunque sia, Erodoto sostiene che il sovrano chiese a tutte le poleis greche di fare atto di sottomissione, per poi intervenire contro quelle a lui ostiche. Infatti Atene giustiziò gli ambasciatori quando seppe che ad Egina, la quale aveva ceduto alle pressioni persiane, era stata restaurata la tirannide del ben noto Ippia. Sicuramente era intenzione di Dario vendicarsi contro coloro che avevano aiutato i rivoltosi ionii, città che vennero infine attaccate, ma le sue mire andavano più in là, oltre l'episodio di Sardi. Dopo la cacciata di Ippia da Atene, egli trovò rifugio alla corte Achemenide chiedendovi aiuto per un suo ritorno come tiranno in patria, fornendo in cambio una base di appoggio dalla quale conquistare l'intera Ellade. Forse questo motivò l'ambizione di Dario che avrebbe potuto con una guerra di espansione competere con le figure dei suoi predecessori: Ciro il Grande e Cambise II. Da non sottovalutare che dopo la rivolta ionia, si era aperta una ferita nel mondo greco, tenere una popolazione metà nelle strutture dell'Impero e metà fuori non poteva che far esplodere nuove tensioni.
Seconda e Terza Guerra Persiana
Nel 486 a.C. a Dario I succedette Serse I. Il figlio decise di vendicare la sconfitta paterna e organizzò subito una nuova spedizione. Se la guerra portata da Dario doveva configurarsi solamente come spedizione punitiva nei confronti delle città che avevano aiutato i rivoltosi ionii, l'impresa di Serse si poneva, invece, intenti di espansione e conquista territoriale del continente greco, al fine di ridurlo a satrapia dell'Impero.
Lo scontro assunse anche una valenza ideologica, in quanto si espresse come contrapposizione propagandistica di idee in ateniesi: Serse rappresentava il difensore di una religione monoteistica, contro il politeismo greco; i Greci,viceversa, si identificavano come i paladini della libertà contro il dispotismo orientale. Serse affidò al generale Mardonio la costruzione di ponti di barche sull'Ellesponte per traghettare l'esercito e l'apertura di un canale a nord del monte Athos per la flotta (il cosiddetto Canale di Serse); curò inoltre l'organizzazione del vettovagliamento dell'esercito. Si trattava di una spedizione più vasta ed organizzata della precedente. Inoltre il re persiano fece predisporre per la campagna un possente esercito, che secondo le antiche stime annoverava oltre due milioni di uomini, cifra certamente esagerata, comunque l'esercito persiano contava probabilmente su una forza di circa 200.000 soldati, un numero imponente per l'epoca, e tra questi i famosi 10.000 "Immortali"; inoltre poteva contare sull'appoggio di una flotta di circa 750 triremi.
Di fronte al pericolo i rappresentanti delle poleis greche si riunirono presso l'istmo di Corinto (481 a.C.) e decisero di costituire un'alleanza difensiva, conosciuta come lega panellenica, sotto il comando del re Leonida di Sparta, ritenendo che fosse opportuno coordinare le operazioni militari e qualunque decisione di carattere politico e strategico. All'accordo tuttavia non aderirono Argo, dichiarandosi neutrale per non dover combattere a fianco dell'odiata Sparta, Corcira, Siracusa (a causa degli scontri che la vedevano impegnata con i Cartaginesi, alleati dei Persiani) e neanche le città della Tessaglia, della Beozia, fuorché Platea e Tespi, della Doride e della Locride Ozolia. Le città che non si opposero ai Persiani preferendo arrendersi e lasciare terra all'esercito di Serse vennero accusate di "medizzare" ossia di mescolarsi con i Medi o comunque favorire i Persiani a danno dei Greci.
All'inizio del 480 a.C. gli ambasciatori di Serse I si recarono presso le città greche (ma non Atene, che non avrebbero comunque risparmiato) e chiesero che offrissero loro terra e acqua al Gran Re, cioè la loro sottomissione formale. Le città rifiutarono e rimandarono indietro i messaggeri, mentre a Sparta furono uccisi. Incominciarono le operazioni belliche: mentre la flotta persiana navigava verso l'Attica, l'esercito passò l'Ellesponto con un ponte di barche e penetrò prima in Tracia e poi in Tessaglia.
I Greci si trovarono però subito in disaccordo su quale fosse la migliore tattica difensiva: gli Spartani premevano perché si affrontassero i Persiani sulla terraferma e lo si facesse all'imbocco del Peloponneso, presso l'istmo di Corinto, che nel frattempo veniva fortificato; gli Ateniesi ritenevano invece che fosse preferibile opporsi con la flotta. Sui due diversi punti di vista pesava soprattutto la considerazione dei rapporti di forza all'interno della Grecia, dato che la fanteria oplitica spartana era di gran lunga la più forte e un'eventuale vittoria sulla terra ferma avrebbe arrecato gloria e potere soprattutto agli Spartani, mentre Atene avrebbe ricavato benefici da una vittoria navale, dato che le sue navi costituivano il grosso della flotta della Lega.
Nonostante i progetti di iniziativa comune, i Greci si presentarono dunque sostanzialmente divisi di fronte all'invasione: prevalse il piano spartano, ma gli Ateniesi spinsero perché si cercasse di fermare il nemico più a nord. A causa di questi contrasti, e giudicando erroneamente che Serse fosse ancora lontano, solo un ristretto contingente si posizionò al passo delle Termopili, che era la strettoia obbligata verso la Grecia centrale, per sbarrare la strada ai nemici. Nell'agosto del 480 a.C. avvenne lo scontro tra i due eserciti. Dopo giorni di combattimento, mentre, poco distante, le forze navali nemiche si fronteggiavano senza che l'una riuscisse a prevalere nettamente sull'altra presso Capo Artemisio, il grosso dell'esercito greco si ritirò, tranne i trecento Spartani di Leonida e i settecento Tespiesi che, circondati dai nemici per il tradimento di Efialte, il quale aveva indicato ai Persiani un sentiero montano, l'Anopaia, per aggirarli (i mille Focesi posti a presidiarlo furono colti di sorpresa nella notte e opposero scarsa resistenza), si sacrificheranno per ritardare l'avanzata persiana e dare tempo agli alleati di ripiegare. Superato il passo, i Persiani dilagarono in Grecia.
L'Attica e la Beozia furono devastate, Atene venne saccheggiata e data alle fiamme. Gli abitanti si salvarono solo grazie all'insistenza dello stratega Temistocle, che riuscì ad evacuare la città e a mettere la popolazione in salvo sulle isole. La flotta greca, però, era ancora pressoché integra.
A questo punto prevalse la strategia della battaglia per mare dell'ateniese Temistocle, il quale, ancor prima dell'inizio degli scontri, si era servito dell'interpretazione tendenziosa di un oracolo pronunciato dalla Pizia, ove si alludeva enigmaticamente ad un muro di legno inespugnabile, per convincere i concittadini della bontà dei suoi disegni. Temistocle era persuaso che il muro dovesse essere interpretato non come l'invito a barricarsi nelle città, ma in riferimento alle navi. A un mese dalla disfatta delle Termopili, in settembre, avvenne la decisiva battaglia navale presso l'isola di Salamina, vinta dai Greci grazie a Temistocle, che indicò la via per avere ragione della flotta persiana, più numerosa, ma che usava navi troppo grandi e difficilmente maneggiabili in quel tratto così stretto di mare.
Un contingente persiano si fermò in Tessaglia da dove, con il contributo dei Tebani, nell'agosto del 479 a.C., fece ripartire l'offensiva persiana. Nella battaglia campale di Platea, in Beozia, ci fu la sconfitta definitiva, con l'esercito persiano messo in fuga da quello greco, guidato dallo spartano Pausania, mentre in contemporanea sotto il comando di Leotichida avveniva la battaglia navale presso il capo Micàle, che si risolse in un'altra sconfitta per i Persiani.
L'anno dopo (478 a.C.) le città ionie dell'Asia Minore furono liberate da una flotta greca guidata dallo spartano Pausania (che da lì a poco fu richiamato in patria ed accusato di dispotismo).
A questo punto Atene rimase la sola potenza ellenica interessata all'Egeo e alla Ionia, contro i Persiani. Gli Spartani, infatti si dedicarono a ristabilire il loro predominio politico in Peloponneso, minacciato da "venti democratici", mentre Atene spostò il suo interesse nell'Egeo dove non dipendeva strategicamente da Sparta.
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