- 4 Agosto 2011
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Ciao Sciax2! Oggi volevo parlarvi di un argomento scolastico che ha messo in crisi molti alunni (per quanto riguarda l'economia), ovvero le teorie keynesiane e le critiche che Keynes mosse all'economia liberista, responsabile della grande crisi americana del 1929.
In primis, però, è necessario capire chi era realmente Keynes e inquadrare il momento storico in cui si fece conoscere per le sue teorie rivoluzionarie.
Partiamo dal principio.
Nel 1929, una profonda crisi recessiva dovuta alla difficoltà gestionale di alcune imprese, portò i possessori delle azioni di tali imprese a venderle. Da questa vendita, calò drasticamente il prezzo delle suddette azioni. Altri risparmiatori, impauriti da questo incipit recessivo, decisero di vendere a loro volta le azioni delle loro aziende per non rischiare di perdere tutto. Le imprese più grandi, data la vendita massiccia delle loro azioni, si trovarono senza fondi e furono dunque costrette a chiudere, licenziando la manodopera. Le persone licenziate, quindi, trovandosi senza un reddito, furono costrette a diminuire a loro volta i consumi e quindi la domanda di beni e servizi. Diminuendo la domanda, le grandi imprese furono costrette a diminuire anche l'offerta, che portò ulteriori licenziamenti ed un' ulteriore diminuzione della domanda.
In questo panorama di crisi enormi che impoverirono gli USA, un giovane economista si fa conoscere per le sue teorie rivoluzionarie, ovvero John Maynard Keynes. Quest'ultimo mosse 3 importanti critiche all'economia da lui definita "classica", ovvero liberista.
1) La critica alla libera concorrenza perfetta
L'economia liberista si basava sul concetto di libera concorrenza perfetta, ovvero quando la quantità offerta è la massima possibile e il prezzo determinato è il minimo possibile. Questo ipotetico modello è praticamente impossibile da realizzare, ma nell'800 era presente una situazione economica molto simile al modello di libera concorrenza perfetta. Il problema è che nella prima metà del '900, questo tipo di economia non andava più bene, in quanto le aziende più grandi spesso si alleavano fra di loro per determinare un prezzo comune e più alto di quanto dovrebbe essere.
Le condizioni di libera concorrenza perfetta, se mai in passato si erano verificate, all'inizio del '900, osserva Keynes, apparivano ormai irripetibili.
2) La critica al salario naturale
Gli economisti liberisti davano la colpa della crisi, al salario troppo alto degli operai, salario che si era alzato solo dopo lotte sanguinose e turbolente nelle quali molti operai persero la vita. Secondo gli economisti liberali, infatti, il ritorno ad una flessibilità dei salari avrebbe consentito una riduzione dei costi.
Keynes osservò che una politica di riduzione dei salari si presentava come altamente improbabile e sicuramente dannosa.
Improbabile perché i lavoratori non avrebbero mai accettato di regredire economicamente vanificando in un sol colpo anni di lotte durissime e di grandi sacrifici.
Dannosa perché la riduzione dei salari non avrebbe stimolato nuovi investimenti né avrebbe prodotto nuovi posti di lavoro. In presenza di un calo della domanda, infatti, nessun imprenditore aumenta la propria offerta.
3) La critica al ruolo del saggio di interesse
Secondo il pensiero liberista non è molto rilevante che le famiglie impieghino il loro reddito prevalentemente in consumi o prevalentemente in risparmi, anzi sarebbe preferibile il risparmio. Infatti, un risparmio permetterebbe alle banche di avere una maggiore liquidità che consentirebbe una diminuzione del costo del denaro. Tale diminuzione renderebbe più propensi gli imprenditori ad operare nuovi investimenti.
Ma se la domanda dei beni di consumo è in diminuzione, che senso ha aumentare gli investimenti? Questa è esattamente l'osservazione fatta da Keynes.
Quando l'industria era in forte espansione e gli industriali sperimentavano nuove tecniche di produzione, è possibile che essi tentassero di migliorare, di ampliare, di rinnovare la loro capacità produttiva contando su un mercato che, prima o poi, si sarebbe aperto. E non avevano torto. Ma nel '900 la capacità produttiva delle imprese era aumentata in misura più che rilevante e nessun imprenditore avrebbe seguito ad accrescerla se non avesse avuto prima la ragionevole certezza che stava aumentando anche la domanda.
Queste erano le critiche che Keynes mosse all'economia liberista, spero di esservi stato utile per aver capito un po' meglio questi argomenti.
Ciao
Fonte: mia
In primis, però, è necessario capire chi era realmente Keynes e inquadrare il momento storico in cui si fece conoscere per le sue teorie rivoluzionarie.
Partiamo dal principio.
Nel 1929, una profonda crisi recessiva dovuta alla difficoltà gestionale di alcune imprese, portò i possessori delle azioni di tali imprese a venderle. Da questa vendita, calò drasticamente il prezzo delle suddette azioni. Altri risparmiatori, impauriti da questo incipit recessivo, decisero di vendere a loro volta le azioni delle loro aziende per non rischiare di perdere tutto. Le imprese più grandi, data la vendita massiccia delle loro azioni, si trovarono senza fondi e furono dunque costrette a chiudere, licenziando la manodopera. Le persone licenziate, quindi, trovandosi senza un reddito, furono costrette a diminuire a loro volta i consumi e quindi la domanda di beni e servizi. Diminuendo la domanda, le grandi imprese furono costrette a diminuire anche l'offerta, che portò ulteriori licenziamenti ed un' ulteriore diminuzione della domanda.
In questo panorama di crisi enormi che impoverirono gli USA, un giovane economista si fa conoscere per le sue teorie rivoluzionarie, ovvero John Maynard Keynes. Quest'ultimo mosse 3 importanti critiche all'economia da lui definita "classica", ovvero liberista.
1) La critica alla libera concorrenza perfetta
L'economia liberista si basava sul concetto di libera concorrenza perfetta, ovvero quando la quantità offerta è la massima possibile e il prezzo determinato è il minimo possibile. Questo ipotetico modello è praticamente impossibile da realizzare, ma nell'800 era presente una situazione economica molto simile al modello di libera concorrenza perfetta. Il problema è che nella prima metà del '900, questo tipo di economia non andava più bene, in quanto le aziende più grandi spesso si alleavano fra di loro per determinare un prezzo comune e più alto di quanto dovrebbe essere.
Le condizioni di libera concorrenza perfetta, se mai in passato si erano verificate, all'inizio del '900, osserva Keynes, apparivano ormai irripetibili.
2) La critica al salario naturale
Gli economisti liberisti davano la colpa della crisi, al salario troppo alto degli operai, salario che si era alzato solo dopo lotte sanguinose e turbolente nelle quali molti operai persero la vita. Secondo gli economisti liberali, infatti, il ritorno ad una flessibilità dei salari avrebbe consentito una riduzione dei costi.
Keynes osservò che una politica di riduzione dei salari si presentava come altamente improbabile e sicuramente dannosa.
Improbabile perché i lavoratori non avrebbero mai accettato di regredire economicamente vanificando in un sol colpo anni di lotte durissime e di grandi sacrifici.
Dannosa perché la riduzione dei salari non avrebbe stimolato nuovi investimenti né avrebbe prodotto nuovi posti di lavoro. In presenza di un calo della domanda, infatti, nessun imprenditore aumenta la propria offerta.
3) La critica al ruolo del saggio di interesse
Secondo il pensiero liberista non è molto rilevante che le famiglie impieghino il loro reddito prevalentemente in consumi o prevalentemente in risparmi, anzi sarebbe preferibile il risparmio. Infatti, un risparmio permetterebbe alle banche di avere una maggiore liquidità che consentirebbe una diminuzione del costo del denaro. Tale diminuzione renderebbe più propensi gli imprenditori ad operare nuovi investimenti.
Ma se la domanda dei beni di consumo è in diminuzione, che senso ha aumentare gli investimenti? Questa è esattamente l'osservazione fatta da Keynes.
Quando l'industria era in forte espansione e gli industriali sperimentavano nuove tecniche di produzione, è possibile che essi tentassero di migliorare, di ampliare, di rinnovare la loro capacità produttiva contando su un mercato che, prima o poi, si sarebbe aperto. E non avevano torto. Ma nel '900 la capacità produttiva delle imprese era aumentata in misura più che rilevante e nessun imprenditore avrebbe seguito ad accrescerla se non avesse avuto prima la ragionevole certezza che stava aumentando anche la domanda.
Queste erano le critiche che Keynes mosse all'economia liberista, spero di esservi stato utile per aver capito un po' meglio questi argomenti.
Ciao
Fonte: mia