La scoperta
In molti mappamondi e atlanti geografici non compare affatto: è l'Isola di Pasqua, Rapa Nui, appartenente al Cile. Eppure, questa isoletta insignificante di appena 162 kmq è uno dei luoghi più famosi del mondo in materia di misteri. Fu scoperta nel 1686, ma solo nel giorno di Pasqua del 1722, l'ammiraglio olandese Jacob Roggeveen, ebbe il coraggio di sfidare i bellicosi indigeni con un'esplorazione vera e propria; sull'isola c'erano enormi teste in pietra, i "MOAI", considerati dagli indigeni con grande disprezzo.
Attualmente ve ne sono circa 600. Più della metà, al momento della scoperta, erano stati rovesciati, altri giacevano incompiuti nelle cave. Si ritiene che un gran numero di MOAI siano stati gettati in mare o distrutti dagli indigeni e in tempi recenti altri siano stati rubati. Quel che oggi rimane in piedi della schiera di MOAI, nella loro posizione originaria, si erge con le spalle al mare e guarda verso l'interno dell'isola. Le sculture hanno una dimensione variabile e un'altezza da 90 cm fino ad 11 metri. Le più grandi, alte 20 metri, sono rimaste incompiute e giacciono nelle cave del vulcano Rano Kao, tuttora circondate dagli utensili necessari alla loro realizzazione. Riproducono quasi ossessivamente lo stesso modello (forse un antenato divinizzato) e originariamente erano dotati di un copricapo rosso. Degli scultori che, a quanto pare, abbandonarono in gran fretta il loro lavoro, non rimane alcuna traccia. L'isola stessa è un mistero impenetrabile: come hanno fatto gli indigeni a raggiungere un luogo così lontano con strumenti di navigazione tanto primitivi?
La popolazione del luogo considerava l'isola "TE PITO TE HENUA" (l'ombelico del mondo) in quanto ritenevano di essere tutto ciò che restava al mondo in termini di sopravvissuti e di terre emerse, dopo il diluvio e la distruzione universale.
Sperduta nell'Oceano Pacifico, a 3700 chilometri dalla costa del Cile, l'Isola di Pasqua nasconde, nei suoi 400 chilometri quadrati di superficie, un grande numero di misteri e forse molti non sarebbero tali se, nel 1862, i trafficanti di schiavi peruviani non avessero deportato gran parte dei suoi già scarsissimi abitanti.
Quando infatti si cominciò a studiare l'isola da un punto di vista antropologico e storico, la sua struttura sociale era completamente distrutta e l'origine della sua scrittura dimenticata insieme a quella degli affascinanti "MOAI", i grandi volti di pietra.
Tutte le informazioni che ora possediamo sull'isola giungono da una tradizione ormai confusa e contraddittoria. Secondo gli isolani superstiti, nell'isola abitavano due differenti razze: le "Orecchie Lunghe", che provenivano dall'est, e le "Orecchie Corte", che venivano dall'ovest.
Le Orecchie Corte erano sottoposte alle Orecchie Lunghe, finché, in una data situabile tra il 1680 e il 1774 (anche dopo la sua scoperta i visitatori dell'Isola di Pasqua furono pochissimi e non esistono notizie certe sulla cronologia degli avvenimenti), le Orecchie Corte si ribellarono, massacrarono le Orecchie Lunghe e abbatterono gran parte dei MOAI.
L’isola dei misteri
Chi erano le Orecchie Lunghe e le Orecchie Corte? Con ogni probabilità provenivano da aree diverse del Pacifico e appartenevano a ceppi etnici differenti; ma perché si erano rifugiati proprio in quella piccola isola e come mai erano rimasti così in pochi? Chi aveva edificato i MOAI, a che scopo e con che mezzi?
La scultura dell'isola di Pasqua può essere divisa in tre periodi di cui il primo, forse, inizia intorno al 300 d.C. Allora l'architettura assomigliava a quella di TIAHUANACO ed era caratterizzata da statue di media grandezza e osservatori solari.
I "testoni" (secondo periodo) cominciarono ad apparire intorno al 1100; erano, e sono tuttora, appoggiati su piattaforme chiamate "AHUS", spesso costruite con pietre ricavate abbattendo gli osservatori (il terzo periodo è associato con il culto di un dio uccello, rappresentato in diverse piccole sculture di legno e di pietra).
Il MOAI più grande è alto venti metri e pesa circa 82 tonnellate: come poteva un popolo assai poco sviluppato tecnologicamente costruire simili colossi? Per quanto riguarda la scrittura (chiamata Rongo - Rongo, costituita da simboli e mai decifrata), perché presenta sconcertanti analogie con i segni che compaiono su certi antichi sigilli ritrovati a MOHENJO DARO, in Pakistan?
Inutile dire che questi misteri hanno scatenato la fantasia di molti.
Per alcuni l'Isola di Pasqua avrebbe fatto parte del continente MU, e sarebbe stata collegata ad Asia e Americhe da immense GALLERIE. Dopo che MU si inabissò nelle acque del Pacifico, i sopravvissuti (appartenenti, appunto, a vari ceppi etnici) vi sarebbero rimasti isolati. E la loro scrittura sarebbe proprio la stessa usata nella valle dell'Indo, in quanto MU costituiva una specie di ponte sul Pacifico, come ATLANTIDE lo costituiva sull'Atlantico.
In realtà qualche enigma dell'isola di Pasqua è stato svelato: come si è ricordato nel congresso intitolato "Misteri risolti", che si è svolto a Torino nel 1988, nel 1955 l'esploratore Thor Heyerdahl riuscì a mettere in piedi un MOAIin diciotto giorni, con l'aiuto di dodici nativi e, come unici strumenti, tronchi e pietre.
E' dimostrato, dunque (ma non è detto che sia successo realmente), che anche la modesta tecnologia locale avrebbe potuto realizzare quelle opera imponenti.
Segnale d’allarme
è recentissima, invece, la scoperta della causa della scarsità della popolazione dell'isola: studiando pollini fossili, alcuni ricercatori hanno rilevato che, secoli addietro, essa offriva tutti i necessari mezzi di sussistenza; successivamente l'eccessivo sfruttamento dei campi, l'uso indiscriminato del legno delle foreste, i numerosi incendi appiccati durante le guerre locali ne hanno distrutto completamente l'equilibro ecologico, riducendo alla fame i suoi abitanti.
Un importante segnale d'allarme che viene da una piccola isola sperduta nel Pacifico ...
Enigmi dell'ombelico del mondo
Il colore bianco della pelle e la barba degli abitanti originari è ancora più sconcertante, perché implica origini etniche geograficamente piuttosto distanti. Come hanno fatto a raggiungere via mare un luogo così lontano e ad acquisire l'abilità necessaria per fabbricare queste statue di pietra dura e di tale grandezza? Alcuni studiosi, fra cui Thor Heyerdahl, ritengono che gli isolani siano il risultato di una mescolanza di civiltà nordiche, peruviane e polinesiane che, in qualche modo, avvalendosi di zattere, sopravvissero al lungo viaggio e approdarono sull'isola. A questo punto, non riuscendo più a riparare le imbarcazioni a causa della mancanza di alberi sul luogo, vi si stabilirono.
In una prima fase le conoscenze di cui erano portatori dai luoghi d'origine, consentirono la costruzione dei MOAI, poi, debilitati dall'isolamento e dalla carenza di risorse sull'isola, regredirono, dimenticando anche il senso originario di quelle opere.
Secondo un'altra teoria, l'isola fu disboscata successivamente proprio per la costruzione dei MOAI e per il sostentamento della popolazione, con una sorta di eco-disastro che portò alla desertificazione e alla decadenza culturale degli abitanti.
Secondo una terza ipotesi, l'isola di Pasqua è un residuo emerso di Atlantide o di Mu o ancora di Lemuria (analoghi continenti che secondo le leggende antiche, si sono inabissati in tempi remoti) e i MOAI sono la rappresentazione dei suoi originari abitanti o della classe al potere. Secondo una variante di questa teoria, i MOAI rappresentano esseri di un altro mondo (extraterrestri) che portarono la civiltà al continente perduto prima del diluvio universale. Una civiltà ed un progresso tecnologico dei quali i pochi superstiti in tutto il mondo, fra cui gli isolani di Pasqua, hanno perduto quasi completamente la memoria, conservandone testimonianze sporadiche in manufatti ed edifici antichi di gran lunga più evoluti del livello di conoscenze attualmente in loro possesso. è indubbio che i MOAI ricordino molto l'arte Inca, sia nella struttura che nella lavorazione; è indubbio che gli isolani abbiano la pelle bianca e caratteristiche somatiche sia degli europei che dei polinesiani, sebbene siano sperduti nell'oceano Pacifico. è certo che per la costruzione e la posa in opera di queste grandi statue sia stata necessaria una forte motivazione religiosa ed una struttura sociale organizzata in grado di porre al lavoro molte persone. è altrettanto certo che occorreva possedere una buona perizia tecnica per tagliare la pietra nella cava, scolpirla secondo un preciso progetto, trasportarla nel luogo di posa, quindi issarla e orientarla nella posizione voluta.
Qualcosa deve necessariamente essere accaduto nel passato della storia dell'isola ed in seguito a tale evento, gli isolani debbono aver perduto la loro memoria storico - culturale.
Questa originaria cultura dell'isola di Pasqua prevedeva anche la conoscenza della scrittura, anch'essa perduta e dimenticata, visto che gli indigeni non sono più in grado di decifrare le antiche iscrizioni rongo - rongo sulle tavolette sacre.
Forse però, i sacerdoti locali sono ancora in grado di decifrarle, ma preferiscono custodirne il segreto, visto il divieto assoluto per gli stranieri di ingresso ad alcune grotte sacre ove sono impresse delle iscrizioni. Proprio su questa scrittura risiede il più affascinante dei misteri di Rapa Nui. I suoi geroglifici sono praticamente identici a quelli dell'antica città di Mohenjo-daro, nella lontanissima India. Come si può vedere nell'illustrazione in basso, la somiglianza è tale da escludere una semplice coincidenza e l'India si trova letteralmente dall'altra parte del mondo rispetto all'isola di Pasqua.
Per raggiungerla via mare occorre circumnavigare metà del Sud-America, passare sotto l'Africa, per poi risalire fino a destinazione: un'impresa navale assolutamente inconcepibile per una zattera o per una canoa! Si tratta di percorrere via mare mezzo mondo (raggiunta l'India vi è poi un discreto percorso da compiere via terra, lungo la valle del fiume Indo). Le due iscrizioni sono rimaste indecifrate, anche se nel 1996 uno studioso americano, Steven Fisher, ha annunciato sulla rivista New Scientist di aver decifrato 22 tavolette dell'Isola di Pasqua.
Secondo Fisher si tratta di scritti sacri che descrivono la creazione del mondo attraverso una serie di miti di carattere marcatamente erotico. Peccato che il giornalista del noto quotidiano romano che ha citato la scoperta, tutto preso dal dichiarare svelati gli arcani, non si sia premurato né di descrivere qualcuno di questi testi, né di occuparsi delle inquietanti e importanti analogie con le iscrizioni indiane. Di fatto i misteri di Rapa Nui rimangono tuttora ostinatamente intatti. Gli isolani, nei loro rituali, danno una grande rilevanza al culto dell'uomo uccello. Un culto che si ripropone insistentemente in numerosi antichi miti delle popolazioni celtiche, nordafricane, arabiche e mediorientali. Le rare sculture in legno raffigurano i corpi degli antenati esposti per la scarnificazione rituale, una cerimonia funebre strettamente connessa al culto dell'uccello (l'avvoltoio in particolare) ricorrente nelle antiche civiltà mediorientali e nordafricane.
Incisioni sulla roccia raffigurano l'uomo - uccello che sorregge un uovo, a ricordo di quando gli uomini facevano a gara per raccogliere il primo uovo deposto su un isolotto prospiciente le spiagge di Rapa Nui; lo stesso uomo uccello che ritroviamo in Nord-Africa, nel medio oriente e nella cultura celtica.
Semplici coincidenze cerimoniali o residui sparsi di un'antichissima cultura comune in tutto il mondo?
Ormai sempre più studiosi sono inclini ad ipotizzare che nell'evoluzione dell'uomo ci sia stato un momento di apice scientifico e tecnologico, circa 10.000 anni prima di Cristo, a cui, in seguito ad una catastrofe mondiale, è sopraggiunto un imbarbarimento repentino dei pochi superstiti che hanno dovuto ricominciare tutto da capo. I sopravvissuti, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno lentamente trasposto nel mito i ricordi del loro passato. Questa teoria spiegherebbe un certo patrimonio culturale e mitologico comune in tutto il mondo antico. Per citare un esempio, il mito mondiale di un continente sprofondato nel mare da cui giunsero gli antenati, connesso con quello, anch'esso mondiale, di un diluvio universale dal quale si salvarono pochi eletti.
Da sempre l'imponenza e il fascino delle sue statue, i 'Moai', sono state fonte di interrogativi sulla loro costruzione e il loro scopo
Le origini
All'origine l'Isola di Pasqua non ebbe un nome, essendo l'unico mondo conosciuto dai suoi abitanti, i quali, dopo il loro misterioso arrivo, vi si insediarono e non si spinsero più oltre.
Per un certo periodo la minuscola isola venne chiamata "Te-Pito-te-Henua", che significava "fine" o "frammento della terra" e che taluni traducevano con "ombelico del mondo".
Un altro nome fu "Mata ki te Rangi", gli "occhi nel cielo", ma la definizione più comune diventò "Rapa Nui", la "Grande Isola", nel senso di "importante".
L'isola fu scoperta dall'olandese Roggeveen e deve il suo nome al giorno in cui fu scoperta: proprio il giorno di Pasqua del 1722.
Secondo la leggenda, i primi abitanti giunsero da un'isola chiamata Marae-rengo o Hiva, situata ad occidente.
Da quelle terre partì un re, Hotu-Matua, insieme alla sua tribù, portando con sé animali, alberi, semi di frutti e fiori che vennero piantati sull'Isola di Pasqua, dove approdarono dopo un lungo viaggio in canoa.
Le ragioni di questa emigrazione, presumibilmente dalla Polinesia, sono ignote: rivalità tribali, carestie, catastrofi naturali o eccesso di popolamento?
Gli antropologi hanno trovato in Polinesia tracce di insediamenti umani a partire dal 1200 a.C.
Le Isole Marchesi vennero popolate nel 300 d.C. e l'Isola di Pasqua nel 400 d.C. circa.
Il primo periodo evolutivo di Rapa Nui si svolse tra il V e l'XI sec. d.C., seguito da un periodo di grande sviluppo tra il XII e il XV secolo, con punte massime di popolazione fino a 15mila abitanti.
La decadenza coincise in pratica con l'arrivo degli esploratori occidentali, quando la popolazione scese a meno di mille persone.
Sulle cause del definitivo collasso dell'isola, nel XVIII secolo, vi sono diverse ipotesi: eccessiva deforestazione, mancanza di risorse idriche e alimentari, guerre fratricide, epidemie o forse tutto ciò insieme.
Sull'isola vigeva una rigida gerarchia: al primo posto c'era il re (ariki-mau) dai poteri divini, poi vi erano i sacerdoti (ivi-atua), i nobili (ariki-paka) e i guerrieri (matato'a).
Gli artigiani formavano una classe a sé: il mito racconta che furono gli "Uomini dai Lunghi Orecchi" a costruire inizialmente i Moai, sconfitti poi dagli "Uomini dai Corti Orecchi".
Le statue
L' isolamento degli abitanti fece sì che essi sviluppassero una propria cultura differente da qualsiasi altra. Il loro sistema di scrittura ideografico fu, ad esempio, diverso da qualsiasi altro conosciuto.
Gli indigeni, in particolare, coltivarono l'arte della scultura.
I resti di quest'antica tradizione possono essere osservati ancora oggi.
Il territorio dell'isola è, infatti, costellato da oltre 600 colossali teste di pietra, i "Moai".
Più della metà, al momento della scoperta, erano stati rovesciati, altri giacevano incompiuti nelle cave. Si ritiene che un gran numero di Moai furono gettati in mare o distrutti dagli indigeni e in tempi recenti altri siano stati rubati. Quel che oggi rimane in piedi della schiera di Moai, nella loro posizione originaria, si erge con le spalle al mare e guarda verso l'interno dell'isola.
Le sculture hanno una dimensione variabile e un'altezza da 90 cm fino ad 11 metri. Le più grandi, alte 20 metri, sono rimaste incompiute e giacciono nelle cave del vulcano Rano Kao, tuttora circondate dagli utensili necessari alla loro realizzazione. Riproducono quasi ossessivamente lo stesso modello e originariamente erano dotati di un copricapo rosso.
Una leggenda di Rapa Nui in merito alla costruzione delle statue, racconta:
"L'isola era dominata dai "Lunghi-Orecchi" che fecero costruire i "Moai" e gli "Ahu" ai "Corti Orecchi", loro schiavi. Un giorno i Lunghi-Orecchi ordinarono ai loro schiavi di gettare tutte le pietre in mare, ma questi si opposero perché le pietre aiutavano a far crescere le patate e la canna da zucchero, unica fonte di sostentamento. I "Lunghi-Orecchi" decisero allora di uccidere tutti gli schiavi e di mangiarseli.
Ma il piano fallì e, al contrario, i "Corti-Orecchi" riuscirono ad uccidere e bruciare i crudeli dominatori e divennero padroni dell'isola".
La costruzione
Degli scultori delle statue che, a quanto pare, abbandonarono in gran fretta il loro lavoro, non rimane alcuna traccia. L'isola stessa è un mistero impenetrabile: come hanno fatto gli indigeni a raggiungere un luogo così lontano con strumenti di navigazione tanto primitivi?
La cava di tufo dalla quale provengono la maggior pare dei Moai si trova sul vulcano Rano Raraku.
In questo cratere giacciono statue appena iniziate o comunque non ancora terminate in tutte le posizioni: verticali, orizzontali, incrociate e oblique. È impossibile che i giganteschi pezzi di lava siano stati liberati dalla roccia con piccole mazze di pietra primitive.
Vero è che Heyerdhal ha trovato sul fondo del cratere alcune centinaia di amigdale di pietra. Sembrava la prova che si fosse lavorato sul luogo con questi utensili.
E il trasporto?
I pasquensi raccontano che i Moai si muovevano grazie al "mana" del mitico capo Tuu-ko-ihu, che faceva camminare le statue.
La studiosa che per prima si pose il problema, Katherine Routledge, sostenne che l'erezione dei colossi avveniva mediante delle rampe costruite con ciottoli arrotondati, rese scivolose da una patina di patate schiacciate per non danneggiare la statua. La messa in posa finale sarebbe stata possibile grazie a delle leve di legno.
La tesi era avvalorata dal ritrovamento di alcune rampe di pietra sui fianchi delle piattaforme.
Secondo Alfred Métraux i Moai venivano trascinati su dei tronchi - legno portato dal mare, vista la scarsità degli alberi - utilizzati come rulli.
Durante la spedizione, negli anni 1955-56, dell'esploratore e antropologo Thor Heyerdahl, l'archeologo statunitense Mulloy ha sperimentato il "viaggio" di un Moai: con l'aiuto di una dozzina di pasquensi si è riusciti a spostare, in 18 giorni, una statua alta 4 metri e pesante 10 tonnellate. Secondo Mulloy gli antichi costruivano una slitta di legno dove il Moai veniva appoggiato sul ventre. Posizionata una forcella sulla statua, veniva fatta passare una corda intorno al collo del colosso e poi fissata al vertice dei pali. Tirando la forcella in posizione verticale, il Moai si sarebbe spostato in avanti, aiutato dalla slitta. Continuando le oscillazioni, la statua avrebbe "camminato" fino alla destinazione finale.
Teorie
Nell'ipotesi che fossero i Polinesiani i creatori delle statue, non si è ancora riusciti a chiarire da dove abbiano tratto i modelli per la forma e l'espressione delle statue, poiché non esiste nessun ceppo polinesiano che abbia questi tratti: lungo naso diritto, bocca serrata dalle labbra sottili, occhi incassati, fronte bassa.
Il colore bianco della pelle e la barba degli abitanti originari è ancora più sconcertante, perché implica origini etniche geografiche piuttosto distanti. Come hanno fatto a raggiungere via mare un luogo così lontano e ad acquisire l'abilità necessaria per fabbricare queste statue di pietra dura e di tale grandezza?
Thor Heyerdahl, ritiene che gli isolani siano il risultato di una mescolanza di civiltà nordiche, peruviane e polinesiane che, in qualche modo, avvalendosi di zattere, sopravvissero al lungo viaggio e approdarono sull'isola. A questo punto, non riuscendo più a riparare le imbarcazioni a causa della mancanza di alberi sul luogo, vi si stabilirono. In una prima fase le conoscenze di cui erano portatori dai luoghi d'origine, consentirono la costruzione dei Moai, poi, debilitati dall'isolamento e dalla carenza di risorse sull'isola, regredirono, dimenticando anche il senso originario di quelle opere.
Secondo un'altra teoria, l'isola fu disboscata successivamente proprio per la costruzione dei Moai e per il sostentamento della popolazione, con una sorta di eco-disastro che portò alla desertificazione e alla decadenza culturale degli abitanti.
Secondo un'altra ipotesi, l'isola di Pasqua è un residuo emerso di Atlantide o di Mu o ancora di Lemuria (analoghi continenti che, secondo le leggende antiche, si sono inabissati in tempi remoti) e i Moai sono la rappresentazione dei suoi originari abitanti o della classe al potere.
Secondo una variante di questa teoria, i Moai rappresentano esseri di un altro mondo (extraterrestri) che portarono la civiltà al continente perduto prima del diluvio universale. Una civiltà ed un progresso tecnologico dei quali i pochi superstiti in tutto il mondo, fra cui gli isolani di Pasqua, hanno perduto quasi completamente la memoria, conservandone testimonianze sporadiche in manufatti ed edifici antichi di gran lunga più evoluti del livello di conoscenze attualmente in loro possesso.
È indubbio che i Moai ricordino molto l'arte Inca, sia nella struttura che nella lavorazione, ed è indubbio che gli isolani abbiano la pelle bianca e caratteristiche somatiche sia degli europei che dei polinesiani, sebbene siano sperduti nell'oceano Pacifico.
È certo che per la costruzione e la posa in opera di queste grandi statue sia stata necessaria una forte motivazione religiosa ed una struttura sociale organizzata in grado di porre al lavoro molte persone. È altrettanto certo che occorreva possedere una buona perizia tecnica per tagliare la pietra nella cava, scolpirla secondo un preciso progetto, trasportarla nel luogo di posa, quindi issarla e orientarla nella posizione voluta. Qualcosa deve necessariamente essere accaduto nel passato della storia dell'isola ed in seguito a tale evento, gli isolani debbono aver perduto la loro memoria storico-culturale.
In molti mappamondi e atlanti geografici non compare affatto: è l'Isola di Pasqua, Rapa Nui, appartenente al Cile. Eppure, questa isoletta insignificante di appena 162 kmq è uno dei luoghi più famosi del mondo in materia di misteri. Fu scoperta nel 1686, ma solo nel giorno di Pasqua del 1722, l'ammiraglio olandese Jacob Roggeveen, ebbe il coraggio di sfidare i bellicosi indigeni con un'esplorazione vera e propria; sull'isola c'erano enormi teste in pietra, i "MOAI", considerati dagli indigeni con grande disprezzo.
Attualmente ve ne sono circa 600. Più della metà, al momento della scoperta, erano stati rovesciati, altri giacevano incompiuti nelle cave. Si ritiene che un gran numero di MOAI siano stati gettati in mare o distrutti dagli indigeni e in tempi recenti altri siano stati rubati. Quel che oggi rimane in piedi della schiera di MOAI, nella loro posizione originaria, si erge con le spalle al mare e guarda verso l'interno dell'isola. Le sculture hanno una dimensione variabile e un'altezza da 90 cm fino ad 11 metri. Le più grandi, alte 20 metri, sono rimaste incompiute e giacciono nelle cave del vulcano Rano Kao, tuttora circondate dagli utensili necessari alla loro realizzazione. Riproducono quasi ossessivamente lo stesso modello (forse un antenato divinizzato) e originariamente erano dotati di un copricapo rosso. Degli scultori che, a quanto pare, abbandonarono in gran fretta il loro lavoro, non rimane alcuna traccia. L'isola stessa è un mistero impenetrabile: come hanno fatto gli indigeni a raggiungere un luogo così lontano con strumenti di navigazione tanto primitivi?
La popolazione del luogo considerava l'isola "TE PITO TE HENUA" (l'ombelico del mondo) in quanto ritenevano di essere tutto ciò che restava al mondo in termini di sopravvissuti e di terre emerse, dopo il diluvio e la distruzione universale.
Sperduta nell'Oceano Pacifico, a 3700 chilometri dalla costa del Cile, l'Isola di Pasqua nasconde, nei suoi 400 chilometri quadrati di superficie, un grande numero di misteri e forse molti non sarebbero tali se, nel 1862, i trafficanti di schiavi peruviani non avessero deportato gran parte dei suoi già scarsissimi abitanti.
Quando infatti si cominciò a studiare l'isola da un punto di vista antropologico e storico, la sua struttura sociale era completamente distrutta e l'origine della sua scrittura dimenticata insieme a quella degli affascinanti "MOAI", i grandi volti di pietra.
Tutte le informazioni che ora possediamo sull'isola giungono da una tradizione ormai confusa e contraddittoria. Secondo gli isolani superstiti, nell'isola abitavano due differenti razze: le "Orecchie Lunghe", che provenivano dall'est, e le "Orecchie Corte", che venivano dall'ovest.
Le Orecchie Corte erano sottoposte alle Orecchie Lunghe, finché, in una data situabile tra il 1680 e il 1774 (anche dopo la sua scoperta i visitatori dell'Isola di Pasqua furono pochissimi e non esistono notizie certe sulla cronologia degli avvenimenti), le Orecchie Corte si ribellarono, massacrarono le Orecchie Lunghe e abbatterono gran parte dei MOAI.
L’isola dei misteri
Chi erano le Orecchie Lunghe e le Orecchie Corte? Con ogni probabilità provenivano da aree diverse del Pacifico e appartenevano a ceppi etnici differenti; ma perché si erano rifugiati proprio in quella piccola isola e come mai erano rimasti così in pochi? Chi aveva edificato i MOAI, a che scopo e con che mezzi?
La scultura dell'isola di Pasqua può essere divisa in tre periodi di cui il primo, forse, inizia intorno al 300 d.C. Allora l'architettura assomigliava a quella di TIAHUANACO ed era caratterizzata da statue di media grandezza e osservatori solari.
I "testoni" (secondo periodo) cominciarono ad apparire intorno al 1100; erano, e sono tuttora, appoggiati su piattaforme chiamate "AHUS", spesso costruite con pietre ricavate abbattendo gli osservatori (il terzo periodo è associato con il culto di un dio uccello, rappresentato in diverse piccole sculture di legno e di pietra).
Il MOAI più grande è alto venti metri e pesa circa 82 tonnellate: come poteva un popolo assai poco sviluppato tecnologicamente costruire simili colossi? Per quanto riguarda la scrittura (chiamata Rongo - Rongo, costituita da simboli e mai decifrata), perché presenta sconcertanti analogie con i segni che compaiono su certi antichi sigilli ritrovati a MOHENJO DARO, in Pakistan?
Inutile dire che questi misteri hanno scatenato la fantasia di molti.
Per alcuni l'Isola di Pasqua avrebbe fatto parte del continente MU, e sarebbe stata collegata ad Asia e Americhe da immense GALLERIE. Dopo che MU si inabissò nelle acque del Pacifico, i sopravvissuti (appartenenti, appunto, a vari ceppi etnici) vi sarebbero rimasti isolati. E la loro scrittura sarebbe proprio la stessa usata nella valle dell'Indo, in quanto MU costituiva una specie di ponte sul Pacifico, come ATLANTIDE lo costituiva sull'Atlantico.
In realtà qualche enigma dell'isola di Pasqua è stato svelato: come si è ricordato nel congresso intitolato "Misteri risolti", che si è svolto a Torino nel 1988, nel 1955 l'esploratore Thor Heyerdahl riuscì a mettere in piedi un MOAIin diciotto giorni, con l'aiuto di dodici nativi e, come unici strumenti, tronchi e pietre.
E' dimostrato, dunque (ma non è detto che sia successo realmente), che anche la modesta tecnologia locale avrebbe potuto realizzare quelle opera imponenti.
Segnale d’allarme
è recentissima, invece, la scoperta della causa della scarsità della popolazione dell'isola: studiando pollini fossili, alcuni ricercatori hanno rilevato che, secoli addietro, essa offriva tutti i necessari mezzi di sussistenza; successivamente l'eccessivo sfruttamento dei campi, l'uso indiscriminato del legno delle foreste, i numerosi incendi appiccati durante le guerre locali ne hanno distrutto completamente l'equilibro ecologico, riducendo alla fame i suoi abitanti.
Un importante segnale d'allarme che viene da una piccola isola sperduta nel Pacifico ...
Enigmi dell'ombelico del mondo
Il colore bianco della pelle e la barba degli abitanti originari è ancora più sconcertante, perché implica origini etniche geograficamente piuttosto distanti. Come hanno fatto a raggiungere via mare un luogo così lontano e ad acquisire l'abilità necessaria per fabbricare queste statue di pietra dura e di tale grandezza? Alcuni studiosi, fra cui Thor Heyerdahl, ritengono che gli isolani siano il risultato di una mescolanza di civiltà nordiche, peruviane e polinesiane che, in qualche modo, avvalendosi di zattere, sopravvissero al lungo viaggio e approdarono sull'isola. A questo punto, non riuscendo più a riparare le imbarcazioni a causa della mancanza di alberi sul luogo, vi si stabilirono.
In una prima fase le conoscenze di cui erano portatori dai luoghi d'origine, consentirono la costruzione dei MOAI, poi, debilitati dall'isolamento e dalla carenza di risorse sull'isola, regredirono, dimenticando anche il senso originario di quelle opere.
Secondo un'altra teoria, l'isola fu disboscata successivamente proprio per la costruzione dei MOAI e per il sostentamento della popolazione, con una sorta di eco-disastro che portò alla desertificazione e alla decadenza culturale degli abitanti.
Secondo una terza ipotesi, l'isola di Pasqua è un residuo emerso di Atlantide o di Mu o ancora di Lemuria (analoghi continenti che secondo le leggende antiche, si sono inabissati in tempi remoti) e i MOAI sono la rappresentazione dei suoi originari abitanti o della classe al potere. Secondo una variante di questa teoria, i MOAI rappresentano esseri di un altro mondo (extraterrestri) che portarono la civiltà al continente perduto prima del diluvio universale. Una civiltà ed un progresso tecnologico dei quali i pochi superstiti in tutto il mondo, fra cui gli isolani di Pasqua, hanno perduto quasi completamente la memoria, conservandone testimonianze sporadiche in manufatti ed edifici antichi di gran lunga più evoluti del livello di conoscenze attualmente in loro possesso. è indubbio che i MOAI ricordino molto l'arte Inca, sia nella struttura che nella lavorazione; è indubbio che gli isolani abbiano la pelle bianca e caratteristiche somatiche sia degli europei che dei polinesiani, sebbene siano sperduti nell'oceano Pacifico. è certo che per la costruzione e la posa in opera di queste grandi statue sia stata necessaria una forte motivazione religiosa ed una struttura sociale organizzata in grado di porre al lavoro molte persone. è altrettanto certo che occorreva possedere una buona perizia tecnica per tagliare la pietra nella cava, scolpirla secondo un preciso progetto, trasportarla nel luogo di posa, quindi issarla e orientarla nella posizione voluta.
Qualcosa deve necessariamente essere accaduto nel passato della storia dell'isola ed in seguito a tale evento, gli isolani debbono aver perduto la loro memoria storico - culturale.
Questa originaria cultura dell'isola di Pasqua prevedeva anche la conoscenza della scrittura, anch'essa perduta e dimenticata, visto che gli indigeni non sono più in grado di decifrare le antiche iscrizioni rongo - rongo sulle tavolette sacre.
Forse però, i sacerdoti locali sono ancora in grado di decifrarle, ma preferiscono custodirne il segreto, visto il divieto assoluto per gli stranieri di ingresso ad alcune grotte sacre ove sono impresse delle iscrizioni. Proprio su questa scrittura risiede il più affascinante dei misteri di Rapa Nui. I suoi geroglifici sono praticamente identici a quelli dell'antica città di Mohenjo-daro, nella lontanissima India. Come si può vedere nell'illustrazione in basso, la somiglianza è tale da escludere una semplice coincidenza e l'India si trova letteralmente dall'altra parte del mondo rispetto all'isola di Pasqua.
Per raggiungerla via mare occorre circumnavigare metà del Sud-America, passare sotto l'Africa, per poi risalire fino a destinazione: un'impresa navale assolutamente inconcepibile per una zattera o per una canoa! Si tratta di percorrere via mare mezzo mondo (raggiunta l'India vi è poi un discreto percorso da compiere via terra, lungo la valle del fiume Indo). Le due iscrizioni sono rimaste indecifrate, anche se nel 1996 uno studioso americano, Steven Fisher, ha annunciato sulla rivista New Scientist di aver decifrato 22 tavolette dell'Isola di Pasqua.
Secondo Fisher si tratta di scritti sacri che descrivono la creazione del mondo attraverso una serie di miti di carattere marcatamente erotico. Peccato che il giornalista del noto quotidiano romano che ha citato la scoperta, tutto preso dal dichiarare svelati gli arcani, non si sia premurato né di descrivere qualcuno di questi testi, né di occuparsi delle inquietanti e importanti analogie con le iscrizioni indiane. Di fatto i misteri di Rapa Nui rimangono tuttora ostinatamente intatti. Gli isolani, nei loro rituali, danno una grande rilevanza al culto dell'uomo uccello. Un culto che si ripropone insistentemente in numerosi antichi miti delle popolazioni celtiche, nordafricane, arabiche e mediorientali. Le rare sculture in legno raffigurano i corpi degli antenati esposti per la scarnificazione rituale, una cerimonia funebre strettamente connessa al culto dell'uccello (l'avvoltoio in particolare) ricorrente nelle antiche civiltà mediorientali e nordafricane.
Incisioni sulla roccia raffigurano l'uomo - uccello che sorregge un uovo, a ricordo di quando gli uomini facevano a gara per raccogliere il primo uovo deposto su un isolotto prospiciente le spiagge di Rapa Nui; lo stesso uomo uccello che ritroviamo in Nord-Africa, nel medio oriente e nella cultura celtica.
Semplici coincidenze cerimoniali o residui sparsi di un'antichissima cultura comune in tutto il mondo?
Ormai sempre più studiosi sono inclini ad ipotizzare che nell'evoluzione dell'uomo ci sia stato un momento di apice scientifico e tecnologico, circa 10.000 anni prima di Cristo, a cui, in seguito ad una catastrofe mondiale, è sopraggiunto un imbarbarimento repentino dei pochi superstiti che hanno dovuto ricominciare tutto da capo. I sopravvissuti, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno lentamente trasposto nel mito i ricordi del loro passato. Questa teoria spiegherebbe un certo patrimonio culturale e mitologico comune in tutto il mondo antico. Per citare un esempio, il mito mondiale di un continente sprofondato nel mare da cui giunsero gli antenati, connesso con quello, anch'esso mondiale, di un diluvio universale dal quale si salvarono pochi eletti.
Da sempre l'imponenza e il fascino delle sue statue, i 'Moai', sono state fonte di interrogativi sulla loro costruzione e il loro scopo
Le origini
All'origine l'Isola di Pasqua non ebbe un nome, essendo l'unico mondo conosciuto dai suoi abitanti, i quali, dopo il loro misterioso arrivo, vi si insediarono e non si spinsero più oltre.
Per un certo periodo la minuscola isola venne chiamata "Te-Pito-te-Henua", che significava "fine" o "frammento della terra" e che taluni traducevano con "ombelico del mondo".
Un altro nome fu "Mata ki te Rangi", gli "occhi nel cielo", ma la definizione più comune diventò "Rapa Nui", la "Grande Isola", nel senso di "importante".
L'isola fu scoperta dall'olandese Roggeveen e deve il suo nome al giorno in cui fu scoperta: proprio il giorno di Pasqua del 1722.
Secondo la leggenda, i primi abitanti giunsero da un'isola chiamata Marae-rengo o Hiva, situata ad occidente.
Da quelle terre partì un re, Hotu-Matua, insieme alla sua tribù, portando con sé animali, alberi, semi di frutti e fiori che vennero piantati sull'Isola di Pasqua, dove approdarono dopo un lungo viaggio in canoa.
Le ragioni di questa emigrazione, presumibilmente dalla Polinesia, sono ignote: rivalità tribali, carestie, catastrofi naturali o eccesso di popolamento?
Gli antropologi hanno trovato in Polinesia tracce di insediamenti umani a partire dal 1200 a.C.
Le Isole Marchesi vennero popolate nel 300 d.C. e l'Isola di Pasqua nel 400 d.C. circa.
Il primo periodo evolutivo di Rapa Nui si svolse tra il V e l'XI sec. d.C., seguito da un periodo di grande sviluppo tra il XII e il XV secolo, con punte massime di popolazione fino a 15mila abitanti.
La decadenza coincise in pratica con l'arrivo degli esploratori occidentali, quando la popolazione scese a meno di mille persone.
Sulle cause del definitivo collasso dell'isola, nel XVIII secolo, vi sono diverse ipotesi: eccessiva deforestazione, mancanza di risorse idriche e alimentari, guerre fratricide, epidemie o forse tutto ciò insieme.
Sull'isola vigeva una rigida gerarchia: al primo posto c'era il re (ariki-mau) dai poteri divini, poi vi erano i sacerdoti (ivi-atua), i nobili (ariki-paka) e i guerrieri (matato'a).
Gli artigiani formavano una classe a sé: il mito racconta che furono gli "Uomini dai Lunghi Orecchi" a costruire inizialmente i Moai, sconfitti poi dagli "Uomini dai Corti Orecchi".
Le statue
L' isolamento degli abitanti fece sì che essi sviluppassero una propria cultura differente da qualsiasi altra. Il loro sistema di scrittura ideografico fu, ad esempio, diverso da qualsiasi altro conosciuto.
Gli indigeni, in particolare, coltivarono l'arte della scultura.
I resti di quest'antica tradizione possono essere osservati ancora oggi.
Il territorio dell'isola è, infatti, costellato da oltre 600 colossali teste di pietra, i "Moai".
Più della metà, al momento della scoperta, erano stati rovesciati, altri giacevano incompiuti nelle cave. Si ritiene che un gran numero di Moai furono gettati in mare o distrutti dagli indigeni e in tempi recenti altri siano stati rubati. Quel che oggi rimane in piedi della schiera di Moai, nella loro posizione originaria, si erge con le spalle al mare e guarda verso l'interno dell'isola.
Le sculture hanno una dimensione variabile e un'altezza da 90 cm fino ad 11 metri. Le più grandi, alte 20 metri, sono rimaste incompiute e giacciono nelle cave del vulcano Rano Kao, tuttora circondate dagli utensili necessari alla loro realizzazione. Riproducono quasi ossessivamente lo stesso modello e originariamente erano dotati di un copricapo rosso.
Una leggenda di Rapa Nui in merito alla costruzione delle statue, racconta:
"L'isola era dominata dai "Lunghi-Orecchi" che fecero costruire i "Moai" e gli "Ahu" ai "Corti Orecchi", loro schiavi. Un giorno i Lunghi-Orecchi ordinarono ai loro schiavi di gettare tutte le pietre in mare, ma questi si opposero perché le pietre aiutavano a far crescere le patate e la canna da zucchero, unica fonte di sostentamento. I "Lunghi-Orecchi" decisero allora di uccidere tutti gli schiavi e di mangiarseli.
Ma il piano fallì e, al contrario, i "Corti-Orecchi" riuscirono ad uccidere e bruciare i crudeli dominatori e divennero padroni dell'isola".
La costruzione
Degli scultori delle statue che, a quanto pare, abbandonarono in gran fretta il loro lavoro, non rimane alcuna traccia. L'isola stessa è un mistero impenetrabile: come hanno fatto gli indigeni a raggiungere un luogo così lontano con strumenti di navigazione tanto primitivi?
La cava di tufo dalla quale provengono la maggior pare dei Moai si trova sul vulcano Rano Raraku.
In questo cratere giacciono statue appena iniziate o comunque non ancora terminate in tutte le posizioni: verticali, orizzontali, incrociate e oblique. È impossibile che i giganteschi pezzi di lava siano stati liberati dalla roccia con piccole mazze di pietra primitive.
Vero è che Heyerdhal ha trovato sul fondo del cratere alcune centinaia di amigdale di pietra. Sembrava la prova che si fosse lavorato sul luogo con questi utensili.
E il trasporto?
I pasquensi raccontano che i Moai si muovevano grazie al "mana" del mitico capo Tuu-ko-ihu, che faceva camminare le statue.
La studiosa che per prima si pose il problema, Katherine Routledge, sostenne che l'erezione dei colossi avveniva mediante delle rampe costruite con ciottoli arrotondati, rese scivolose da una patina di patate schiacciate per non danneggiare la statua. La messa in posa finale sarebbe stata possibile grazie a delle leve di legno.
La tesi era avvalorata dal ritrovamento di alcune rampe di pietra sui fianchi delle piattaforme.
Secondo Alfred Métraux i Moai venivano trascinati su dei tronchi - legno portato dal mare, vista la scarsità degli alberi - utilizzati come rulli.
Durante la spedizione, negli anni 1955-56, dell'esploratore e antropologo Thor Heyerdahl, l'archeologo statunitense Mulloy ha sperimentato il "viaggio" di un Moai: con l'aiuto di una dozzina di pasquensi si è riusciti a spostare, in 18 giorni, una statua alta 4 metri e pesante 10 tonnellate. Secondo Mulloy gli antichi costruivano una slitta di legno dove il Moai veniva appoggiato sul ventre. Posizionata una forcella sulla statua, veniva fatta passare una corda intorno al collo del colosso e poi fissata al vertice dei pali. Tirando la forcella in posizione verticale, il Moai si sarebbe spostato in avanti, aiutato dalla slitta. Continuando le oscillazioni, la statua avrebbe "camminato" fino alla destinazione finale.
Teorie
Nell'ipotesi che fossero i Polinesiani i creatori delle statue, non si è ancora riusciti a chiarire da dove abbiano tratto i modelli per la forma e l'espressione delle statue, poiché non esiste nessun ceppo polinesiano che abbia questi tratti: lungo naso diritto, bocca serrata dalle labbra sottili, occhi incassati, fronte bassa.
Il colore bianco della pelle e la barba degli abitanti originari è ancora più sconcertante, perché implica origini etniche geografiche piuttosto distanti. Come hanno fatto a raggiungere via mare un luogo così lontano e ad acquisire l'abilità necessaria per fabbricare queste statue di pietra dura e di tale grandezza?
Thor Heyerdahl, ritiene che gli isolani siano il risultato di una mescolanza di civiltà nordiche, peruviane e polinesiane che, in qualche modo, avvalendosi di zattere, sopravvissero al lungo viaggio e approdarono sull'isola. A questo punto, non riuscendo più a riparare le imbarcazioni a causa della mancanza di alberi sul luogo, vi si stabilirono. In una prima fase le conoscenze di cui erano portatori dai luoghi d'origine, consentirono la costruzione dei Moai, poi, debilitati dall'isolamento e dalla carenza di risorse sull'isola, regredirono, dimenticando anche il senso originario di quelle opere.
Secondo un'altra teoria, l'isola fu disboscata successivamente proprio per la costruzione dei Moai e per il sostentamento della popolazione, con una sorta di eco-disastro che portò alla desertificazione e alla decadenza culturale degli abitanti.
Secondo un'altra ipotesi, l'isola di Pasqua è un residuo emerso di Atlantide o di Mu o ancora di Lemuria (analoghi continenti che, secondo le leggende antiche, si sono inabissati in tempi remoti) e i Moai sono la rappresentazione dei suoi originari abitanti o della classe al potere.
Secondo una variante di questa teoria, i Moai rappresentano esseri di un altro mondo (extraterrestri) che portarono la civiltà al continente perduto prima del diluvio universale. Una civiltà ed un progresso tecnologico dei quali i pochi superstiti in tutto il mondo, fra cui gli isolani di Pasqua, hanno perduto quasi completamente la memoria, conservandone testimonianze sporadiche in manufatti ed edifici antichi di gran lunga più evoluti del livello di conoscenze attualmente in loro possesso.
È indubbio che i Moai ricordino molto l'arte Inca, sia nella struttura che nella lavorazione, ed è indubbio che gli isolani abbiano la pelle bianca e caratteristiche somatiche sia degli europei che dei polinesiani, sebbene siano sperduti nell'oceano Pacifico.
È certo che per la costruzione e la posa in opera di queste grandi statue sia stata necessaria una forte motivazione religiosa ed una struttura sociale organizzata in grado di porre al lavoro molte persone. È altrettanto certo che occorreva possedere una buona perizia tecnica per tagliare la pietra nella cava, scolpirla secondo un preciso progetto, trasportarla nel luogo di posa, quindi issarla e orientarla nella posizione voluta. Qualcosa deve necessariamente essere accaduto nel passato della storia dell'isola ed in seguito a tale evento, gli isolani debbono aver perduto la loro memoria storico-culturale.
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