Stasera il dibattito a Rochester fra gli otto candidati repubblicani
Occhi puntati su Cain, Perry e Bachmann si giocano il voto
della destra e le chance di vittoria
ALBERTO SIMONI
Sesto dibattito fra tutti gli otto candidati alla nomination repubblicana stasera in Michigan (trasmesso dalla CNBC). Il focus sarà l'economia ma gli occhi saranno tutti puntati su Herman Cain. Il sexgate esploso come una bomba sulla strada verso la nomination, ha eroso parte consistente dei consensi che l'ex re della pizza si era guadagnato nelle settimane scorse. Tanto da essere balzato in vetta ai sondaggi. Quello di stasera a Rochester ha tutta l'aria di essere un dibattito da dentro o fuori. E più che un vincitore si cercherà, è l'opinione di molti pundits e analisti, di capire chi ha perso. Se Herman Cain avrà puntati addosso gli occhi per le note e burrascose vicende, gli altri dovranno sgomitare per trovare spazio e per sopravvivere a quello che il sito The Politico ha già chiamato "turno eliminatorio". Con l'eccezione di Romney, il "candidato inevitabile" e Ron Paul, il libertario che tiene in cassaforte consensi immutati (ma sempre in singola cifra) e soldi, i destini degli altri pretendenti sono appesi a un filo. Fra tutti Rick Perry, l'uomo che in agosto entrando in gara aveva generato un ribaltone nei consensi e indossato per un po' il mantello di favorito godendo dei favori dell'elettorato conservatore. Ebbene l'ex governatore del Texas, incappato in una serie di gaffe e mai brillante - anzi nocivo a se stesso - nei dibattiti, ha dovuto spendere una fortuna per ricostruire la sua immagine. Punta molto sull'Iowa (dove i Tea Party potranno essere l'ago della bilancia). La sua strategia di attaccare sempre e solo Romney non ha pagato finora. Alcune fonti riferiscono che si sia ben preparato al duello tv, studiando i dossier e simulando con i suoi assistenti il dibattito di stasera. Rilancerà il messaggio tutto texano sui posti di lavoro che da governatore ha creato, poi però dovrà cambiare "gomme" e prepararsi per lo scontro sulla politica estera (sabato il tv debate sulla Cbs in South Carolina). Pesca nel suo stesso (in parte) elettorato Michele Bachmann, la stella dei Tea Party, che ha goduto del primato nei sondaggi e di una visibilità assoluta a metà estate. Poi è piombata quasi nell'anonimato, ma in questa campagna molto fluida dove l'ala destra del partito (Tea Party, social conservative, movimento anti-tasse) ancora non ha scelto su quale cavallo puntare, l'avvocato-deputato del Minnesota potrebbe resistere. All'ultima spiaggia invece appaiono Jon Huntsman e Rick Santorum. Il primo sconta una scarsa "riconoscibilità". Poco noto al pubblico, non è riuscito ancora a far passare il suo messaggio moderato e da maverick malgrado fra tutti spicchi per la sua competenza in politica estera e sia abile anche sul fronte economico. Susie Wiles, che è stata di Huntsman capo della campagna, spiega che per molti candidati l'obiettivo "sarà quello di mantenere la testa fuori dall'acqua mentre Romney si impone come il candidato scontato". E Huntsman è fra quelli che stasera dovrà restare a galla per poi sperare di conquistare qualche punticino sabato quando si discuterà di politica estera. Santorum invece continua a coltivare il suo "orticello". Esiste in quanto parla di valori e di famiglia. Per il resto la sua voce appare flebile se non assente (come del resto il conto in banca).
Resta Newt Gingrich. Zitto zitto l'ex speaker della Camera dato per "morto" qualche mese fa quando si dimisero in massa i suoi consiglieri, sta riconquistando posizioni. L'ultimo sondaggio, pubblicato da "Usa Today" (stiamo sempre parlando di popolarità a livello globale, non nei singoli Stati), lo colloca al terzo posto (12%), 10 punti sotto la coppia Romney-Cain (21%). E' in costante ascesa dal 12 ottobre, l'unico a poter vantare una simile performance. La forza di Gingrich? L'ha individuata il "Wall Street Journal". Prima di tutto è un volto noto a tutti, non deve lottare per imporre il suo volto e il suo credo. Si sa chi è, da dove viene, cosa ha fatto. Ma a fare differenza è la narrazione della politica e del suo piano per l'America. Chiaro, diretto, capace di avere un messaggio univoco (ma non semplicistico). Carismatico, gran comunicatore e persuasivo. Nei dibattiti ha toccato le corde giuste incassando applausi. Ha elencato e soprattutto dettagliato con esempi e giocando con l'arte della retorica negativa (cioè contrapponendo la sua proposta alla politica di Obama) la sua idea di America. Versatile e colto è in grado di saltare da un piano all'altro, da un issue a un altro, senza perdere il filo, anzi collegando il tutto. Come sulla politica energetica, terreno scivoloso. Il presidente - ha detto Gingrich - è andato in Brasile e ha detto ai brasiliani di essere molto felice che stavano trivellando in pozzi off shore e che avrebbe voluto che l'America diventasse il miglior cliente. Ebbene dopo aver spiegato la posizione di Obama Gingrich l'ha "infilzato" serafico: "Il lavoro del presidente americano non è fare l'agente di commercio per un Paese straniero, è invece essere un venditore per gli Stati Uniti d'America".
Occhi puntati su Cain, Perry e Bachmann si giocano il voto
della destra e le chance di vittoria
ALBERTO SIMONI
Sesto dibattito fra tutti gli otto candidati alla nomination repubblicana stasera in Michigan (trasmesso dalla CNBC). Il focus sarà l'economia ma gli occhi saranno tutti puntati su Herman Cain. Il sexgate esploso come una bomba sulla strada verso la nomination, ha eroso parte consistente dei consensi che l'ex re della pizza si era guadagnato nelle settimane scorse. Tanto da essere balzato in vetta ai sondaggi. Quello di stasera a Rochester ha tutta l'aria di essere un dibattito da dentro o fuori. E più che un vincitore si cercherà, è l'opinione di molti pundits e analisti, di capire chi ha perso. Se Herman Cain avrà puntati addosso gli occhi per le note e burrascose vicende, gli altri dovranno sgomitare per trovare spazio e per sopravvivere a quello che il sito The Politico ha già chiamato "turno eliminatorio". Con l'eccezione di Romney, il "candidato inevitabile" e Ron Paul, il libertario che tiene in cassaforte consensi immutati (ma sempre in singola cifra) e soldi, i destini degli altri pretendenti sono appesi a un filo. Fra tutti Rick Perry, l'uomo che in agosto entrando in gara aveva generato un ribaltone nei consensi e indossato per un po' il mantello di favorito godendo dei favori dell'elettorato conservatore. Ebbene l'ex governatore del Texas, incappato in una serie di gaffe e mai brillante - anzi nocivo a se stesso - nei dibattiti, ha dovuto spendere una fortuna per ricostruire la sua immagine. Punta molto sull'Iowa (dove i Tea Party potranno essere l'ago della bilancia). La sua strategia di attaccare sempre e solo Romney non ha pagato finora. Alcune fonti riferiscono che si sia ben preparato al duello tv, studiando i dossier e simulando con i suoi assistenti il dibattito di stasera. Rilancerà il messaggio tutto texano sui posti di lavoro che da governatore ha creato, poi però dovrà cambiare "gomme" e prepararsi per lo scontro sulla politica estera (sabato il tv debate sulla Cbs in South Carolina). Pesca nel suo stesso (in parte) elettorato Michele Bachmann, la stella dei Tea Party, che ha goduto del primato nei sondaggi e di una visibilità assoluta a metà estate. Poi è piombata quasi nell'anonimato, ma in questa campagna molto fluida dove l'ala destra del partito (Tea Party, social conservative, movimento anti-tasse) ancora non ha scelto su quale cavallo puntare, l'avvocato-deputato del Minnesota potrebbe resistere. All'ultima spiaggia invece appaiono Jon Huntsman e Rick Santorum. Il primo sconta una scarsa "riconoscibilità". Poco noto al pubblico, non è riuscito ancora a far passare il suo messaggio moderato e da maverick malgrado fra tutti spicchi per la sua competenza in politica estera e sia abile anche sul fronte economico. Susie Wiles, che è stata di Huntsman capo della campagna, spiega che per molti candidati l'obiettivo "sarà quello di mantenere la testa fuori dall'acqua mentre Romney si impone come il candidato scontato". E Huntsman è fra quelli che stasera dovrà restare a galla per poi sperare di conquistare qualche punticino sabato quando si discuterà di politica estera. Santorum invece continua a coltivare il suo "orticello". Esiste in quanto parla di valori e di famiglia. Per il resto la sua voce appare flebile se non assente (come del resto il conto in banca).
Resta Newt Gingrich. Zitto zitto l'ex speaker della Camera dato per "morto" qualche mese fa quando si dimisero in massa i suoi consiglieri, sta riconquistando posizioni. L'ultimo sondaggio, pubblicato da "Usa Today" (stiamo sempre parlando di popolarità a livello globale, non nei singoli Stati), lo colloca al terzo posto (12%), 10 punti sotto la coppia Romney-Cain (21%). E' in costante ascesa dal 12 ottobre, l'unico a poter vantare una simile performance. La forza di Gingrich? L'ha individuata il "Wall Street Journal". Prima di tutto è un volto noto a tutti, non deve lottare per imporre il suo volto e il suo credo. Si sa chi è, da dove viene, cosa ha fatto. Ma a fare differenza è la narrazione della politica e del suo piano per l'America. Chiaro, diretto, capace di avere un messaggio univoco (ma non semplicistico). Carismatico, gran comunicatore e persuasivo. Nei dibattiti ha toccato le corde giuste incassando applausi. Ha elencato e soprattutto dettagliato con esempi e giocando con l'arte della retorica negativa (cioè contrapponendo la sua proposta alla politica di Obama) la sua idea di America. Versatile e colto è in grado di saltare da un piano all'altro, da un issue a un altro, senza perdere il filo, anzi collegando il tutto. Come sulla politica energetica, terreno scivoloso. Il presidente - ha detto Gingrich - è andato in Brasile e ha detto ai brasiliani di essere molto felice che stavano trivellando in pozzi off shore e che avrebbe voluto che l'America diventasse il miglior cliente. Ebbene dopo aver spiegato la posizione di Obama Gingrich l'ha "infilzato" serafico: "Il lavoro del presidente americano non è fare l'agente di commercio per un Paese straniero, è invece essere un venditore per gli Stati Uniti d'America".