Siamo nati per ridere e lo dimostra il fatto che quando qualcuno racconta una barzelletta o ci fa il solletico, la risata sorge spontanea e istintiva. Per contro, piangere quando siamo tristi, al pari di ogni altra «vocalizzazione emotiva», è qualcosa che impariamo a fare come verrà spiegato la prossima settimana al raduno dell’Acoustical Society of America in programma a Cancun. A queste conclusioni è giunto uno studio, pubblicato sulla rivista New Scientist e condotto da un’equipe di ricercatori olandesi. Per confermare la validità delle loro asserzioni, gli scienziati hanno chiesto a 16 volontari, la metà dei quali sorda dalla nascita, di emettere dei suoni per indicare emozioni quali tristezza, rabbia, terrore, sollievo e allegria, senza usare le parole. Queste interpretazioni sono state poi riproposte ad altri 25 volontari senza alcun problema di udito, che dovevano dare quindi un nome a ciascuna emozione che avevano sentito.
È così emerso che solo le risate e i sospiri di sollievo venivano facilmente identificati, mentre tutti gli altri suoni, dalle urla di terrore ai singhiozzi causati dalla tristezza, erano molto più facili da interpretare dai volontari senza disagi uditivi; invece i sordi non potevano individuare le risate perché, non avendole mai sentite in vita loro, non sanno nemmeno come si fa a ridere. «Risate e sorrisi si sono evoluti per diffondere il confronto - ha spiegato la dottoressa Disa Sauter del Max Plank Institute for Psycholinguistics che ha condotto lo studio -, tanto è vero che se si fa solletico a un gorilla o a un orangotango, questi ridono». Una convinzione che trova d’accordo la professoressa Sophie Scott del London’s Institute of Neuroscience, secondo la quale i risultati della ricerca olandese hanno senso «perché la risata è stata descritta più come un diverso modo di respirare che un modo di parlare», mentre di parere contrario è il collega David Ostry dell’Università di Montreal: a suo dire, le persone sorde potrebbero imparare a ridere semplicemente guardando gli altri farlo.
Corriere.it
È così emerso che solo le risate e i sospiri di sollievo venivano facilmente identificati, mentre tutti gli altri suoni, dalle urla di terrore ai singhiozzi causati dalla tristezza, erano molto più facili da interpretare dai volontari senza disagi uditivi; invece i sordi non potevano individuare le risate perché, non avendole mai sentite in vita loro, non sanno nemmeno come si fa a ridere. «Risate e sorrisi si sono evoluti per diffondere il confronto - ha spiegato la dottoressa Disa Sauter del Max Plank Institute for Psycholinguistics che ha condotto lo studio -, tanto è vero che se si fa solletico a un gorilla o a un orangotango, questi ridono». Una convinzione che trova d’accordo la professoressa Sophie Scott del London’s Institute of Neuroscience, secondo la quale i risultati della ricerca olandese hanno senso «perché la risata è stata descritta più come un diverso modo di respirare che un modo di parlare», mentre di parere contrario è il collega David Ostry dell’Università di Montreal: a suo dire, le persone sorde potrebbero imparare a ridere semplicemente guardando gli altri farlo.
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