ROMA E LAZIO SCAPPANO IN RITIRO
Se qualcuno sta cercando Roma&Lazio, sappia che le troverà - come nella migliore tradizione di un sano calcio all'italiana - in ritiro punitivo. Che poi formalmente "punitivo" non lo è mai, solo perché non si può dire: diciamo allora che "bisogna ritrovare la tranquillità e la sicurezza nei nostri mezzi". E chiudete bene i cancelli, che i tifosi sono furibondi e non si sa mai: avevano già contestato, insultato, urlato "andate a lavorare" e tirato bombe carta anche prima ancora che questo scempio si verificasse. Sconfitte a ripetizione e a coppia, per di più: unite nel destino e nella classifica. E' un derby anche questo, no? Intanto se i duri del tifo contestano, gli altri abbandonano l'Olimpico: ormai uno stadio desolato, vuoto e tristissimo.
E così con un salto indietro di molti anni si ricomincia praticamente da capo: da questo modestissimo limbo di una classifica ai margini della zona retrocessione. Roma 11, Lazio 10. Il Livorno, che era ultimo in classifica, avanza e già ha avvistato le rivali poco avanti. E tanto per rendersi conto che qui di serie B si sta parlando - sì zona retrocessione e lotta salvezza, questa è la nuova cruda realtà - le due presuntuose sono in ritiro a preparare due decisivi scontri diretti: Roma-Bologna e Siena-Lazio. Altro che Inter e Juventus, altro che scudetto, altro che Champions League, altro che mezza classifica, altro che campionato di transizione ("Magari!") è arrivato - come dicono quelli che il calcio lo masticano - il tempo della pagnotta. Roma è sull'orlo dello sprofondo. Forse da qui si può solo risalire. O forse no: forse si può persino fare l'ultimo tuffo...
Roma ha più o meno la metà dei punti di Milano: ci vogliono due Rome giallorosse abbondanti per fare un'Inter sola, o anche una sola Juve. La contabilità della classifica questo dice, il resto sono chiacchiere. E nel calcio romano, quanto a chiacchiere, sono campioni del mondo. Dieci anni fa c'erano delle squadre scudetto, da allora ci sono stati sprazzi di entusiasmo, belle soddisfazioni, delle Coppe e delle Supercoppe, qualche bella stagione come la Roma di Spalletti che due anni fa a Catania arrivò a mezz'ora dallo scudetto, o la Lazio di Delio Rossi finita miracolosamente in Champions League. Ma poi la crisi ha morso bilanci, le gestioni delle due società sono diventate appunto miracolistiche, i Sensi e i Lotito hanno cominciato a sopravvivere, i campioni hanno cominciato più a partire che ad arrivare. E invece di ricominciare con mentalità, soci, fondi economici e progetti nuovi - magari con i soldi di qualche ricco americano perché no, vedi Soros per quanto riguarda la Roma - si è continuato a vivere di illusioni. E soprattutto chiacchiere... Fino a quando non sono bastate più nemmeno quelle.
Le famose radio romane vanno a tutto volume: è un solo, unico, gigantesco maxi processo che rimbalza a tutto volume dai ministeri ai mercati, dal centro alle borgate, dai bar alle autoradio. Si dovesse far giustizia adesso non se ne salverebbe nemmeno uno: condannati Rosella Sensi e Claudio Lotito, presidenti contestatissimi e ormai squattrinati, non solo mai benvoluti, ma mai voluti proprio ("Andatevene!"). Roma aspetta nuovi padroni, ma ogni volta che qualcuno si affaccia subito dopo scappa. Condannati gli allenatori, il testaccino Claudio Ranieri che non ha saputo frenare il precipizio ("Ridateci Spalletti!") e l'algido Davide Ballardini, professore di calcio che pensava di aver già affrontato il peggio nelle corride di Cagliari e Palermo, e invece ha scoperto che Roma è proprio una tortura ("Aho, ma chi ce l'ha mandato questo?"). No, queste non sono cose che si risolvono con un 4-3-2-1 o una diagonale ben fatta. "Ci vogliono le palle!" urlano tutti, un classico del tifo.
Stracondannate ovviamente le scombiccheratissime squadre, una Roma che avrebbe la peggior difesa del campionato (18 gol) se non dovesse ringraziare il Genoa che ne incassò 5 in una volta sola dall'Inter; condannata una Lazio che ne prende molti di meno ma non segna quasi più (7 gol): peggio ha fatto solo il Livorno, pensa un po'. Condannato chi c'è, a cominciare dai portieri Doni ("Su quattro portieri nemmeno uno è buono") e l'acchiappamosche Muslera ("Mamma, che papere"), per finire agli sterili attaccanti Vucinic ("Pure a porta vuota sbaglia!") e Zarate ("Da quando ha avuto il nuovo contratto non è più lui").
Ma dentro il processo finisce anche chi non c'è. Da quando Totti si è fatto male la Roma non ne azzecca più una, confermando che la Tottidipendenza è un problema grave e mai risolto, né da Spalletti ieri né da Ranieri oggi: la Roma può essere legata in eterno ai prodigi del suo uomo più grande? Si è chiamato poi Tottismo quel fanatismo generalizzato che ha finito col concentrare su un unico giocatore - un idolo, un totem - la sola forza che potesse risolvere qualsiasi problema. La Roma ha molti grandi giocatori - dicono - ma non nella realtà dei risultati. Nel processo della Lazio invece anche Pandev, Ledesma & C, quelli che ormai tutti chiamano "i dissidenti": volevano più soldi di quelli che gli passava Lotito, nuovi contratti o anche cambiare squadra per andare a cercare gloria altrove. Sono rimasti così ai margini di una squadra fortemente ridimensionata e certamente più debole dello scorso anno (via Pandev & Ledesma, arrivato Cruz...). E così mentre Lotito si arrovella nei suoi principi, anche giusti per carità - i contratti sono contratti - e nel suo latino sempre più maccheronico, la Lazio crolla come un debole castello di carte.
Nel maxi processo tutti chiedono la testa della Sensi alla Roma e quella di Ballardini alla Lazio: senza sapere che né l'una né l'altra drastica operazione risolverebbe da sola il problema. Per la Roma ci vorrebbe un compratore (anche se bisognerebbe abbassare le pretese e non tenere in ostaggio il club di una situazione fallimentare a monte) e per la Lazio una squadra vera. In poche settimane - ma dopo comunque un anno di purgatorio per entrambe, non va dimenticato - la Roma è tornata all'infausto periodo prespallettiano della salvezza raggiunta con quattro allenatori (Prandelli, Voeller, Delneri e Conti) e la Lazio al periodo decadente dell'ultimo Cragnotti.
Dopo aver passato le ultime settimane a parlare dei nuovi stadi alla Massimina e sulla Tiberina, questi ancora più inconsistenti dei pochi punti in classifica, Roma si trova a fare progetti nel deserto. Persino la sua allegra sbruffonaggine è ormai ridotta a zero. E così mentre le squadre scappano e si chiudono nei ritiri-bunker la radio gracchia: "Ma andate aff.... Manco la contestazione vi meritate".
Se qualcuno sta cercando Roma&Lazio, sappia che le troverà - come nella migliore tradizione di un sano calcio all'italiana - in ritiro punitivo. Che poi formalmente "punitivo" non lo è mai, solo perché non si può dire: diciamo allora che "bisogna ritrovare la tranquillità e la sicurezza nei nostri mezzi". E chiudete bene i cancelli, che i tifosi sono furibondi e non si sa mai: avevano già contestato, insultato, urlato "andate a lavorare" e tirato bombe carta anche prima ancora che questo scempio si verificasse. Sconfitte a ripetizione e a coppia, per di più: unite nel destino e nella classifica. E' un derby anche questo, no? Intanto se i duri del tifo contestano, gli altri abbandonano l'Olimpico: ormai uno stadio desolato, vuoto e tristissimo.
E così con un salto indietro di molti anni si ricomincia praticamente da capo: da questo modestissimo limbo di una classifica ai margini della zona retrocessione. Roma 11, Lazio 10. Il Livorno, che era ultimo in classifica, avanza e già ha avvistato le rivali poco avanti. E tanto per rendersi conto che qui di serie B si sta parlando - sì zona retrocessione e lotta salvezza, questa è la nuova cruda realtà - le due presuntuose sono in ritiro a preparare due decisivi scontri diretti: Roma-Bologna e Siena-Lazio. Altro che Inter e Juventus, altro che scudetto, altro che Champions League, altro che mezza classifica, altro che campionato di transizione ("Magari!") è arrivato - come dicono quelli che il calcio lo masticano - il tempo della pagnotta. Roma è sull'orlo dello sprofondo. Forse da qui si può solo risalire. O forse no: forse si può persino fare l'ultimo tuffo...
Roma ha più o meno la metà dei punti di Milano: ci vogliono due Rome giallorosse abbondanti per fare un'Inter sola, o anche una sola Juve. La contabilità della classifica questo dice, il resto sono chiacchiere. E nel calcio romano, quanto a chiacchiere, sono campioni del mondo. Dieci anni fa c'erano delle squadre scudetto, da allora ci sono stati sprazzi di entusiasmo, belle soddisfazioni, delle Coppe e delle Supercoppe, qualche bella stagione come la Roma di Spalletti che due anni fa a Catania arrivò a mezz'ora dallo scudetto, o la Lazio di Delio Rossi finita miracolosamente in Champions League. Ma poi la crisi ha morso bilanci, le gestioni delle due società sono diventate appunto miracolistiche, i Sensi e i Lotito hanno cominciato a sopravvivere, i campioni hanno cominciato più a partire che ad arrivare. E invece di ricominciare con mentalità, soci, fondi economici e progetti nuovi - magari con i soldi di qualche ricco americano perché no, vedi Soros per quanto riguarda la Roma - si è continuato a vivere di illusioni. E soprattutto chiacchiere... Fino a quando non sono bastate più nemmeno quelle.
Le famose radio romane vanno a tutto volume: è un solo, unico, gigantesco maxi processo che rimbalza a tutto volume dai ministeri ai mercati, dal centro alle borgate, dai bar alle autoradio. Si dovesse far giustizia adesso non se ne salverebbe nemmeno uno: condannati Rosella Sensi e Claudio Lotito, presidenti contestatissimi e ormai squattrinati, non solo mai benvoluti, ma mai voluti proprio ("Andatevene!"). Roma aspetta nuovi padroni, ma ogni volta che qualcuno si affaccia subito dopo scappa. Condannati gli allenatori, il testaccino Claudio Ranieri che non ha saputo frenare il precipizio ("Ridateci Spalletti!") e l'algido Davide Ballardini, professore di calcio che pensava di aver già affrontato il peggio nelle corride di Cagliari e Palermo, e invece ha scoperto che Roma è proprio una tortura ("Aho, ma chi ce l'ha mandato questo?"). No, queste non sono cose che si risolvono con un 4-3-2-1 o una diagonale ben fatta. "Ci vogliono le palle!" urlano tutti, un classico del tifo.
Stracondannate ovviamente le scombiccheratissime squadre, una Roma che avrebbe la peggior difesa del campionato (18 gol) se non dovesse ringraziare il Genoa che ne incassò 5 in una volta sola dall'Inter; condannata una Lazio che ne prende molti di meno ma non segna quasi più (7 gol): peggio ha fatto solo il Livorno, pensa un po'. Condannato chi c'è, a cominciare dai portieri Doni ("Su quattro portieri nemmeno uno è buono") e l'acchiappamosche Muslera ("Mamma, che papere"), per finire agli sterili attaccanti Vucinic ("Pure a porta vuota sbaglia!") e Zarate ("Da quando ha avuto il nuovo contratto non è più lui").
Ma dentro il processo finisce anche chi non c'è. Da quando Totti si è fatto male la Roma non ne azzecca più una, confermando che la Tottidipendenza è un problema grave e mai risolto, né da Spalletti ieri né da Ranieri oggi: la Roma può essere legata in eterno ai prodigi del suo uomo più grande? Si è chiamato poi Tottismo quel fanatismo generalizzato che ha finito col concentrare su un unico giocatore - un idolo, un totem - la sola forza che potesse risolvere qualsiasi problema. La Roma ha molti grandi giocatori - dicono - ma non nella realtà dei risultati. Nel processo della Lazio invece anche Pandev, Ledesma & C, quelli che ormai tutti chiamano "i dissidenti": volevano più soldi di quelli che gli passava Lotito, nuovi contratti o anche cambiare squadra per andare a cercare gloria altrove. Sono rimasti così ai margini di una squadra fortemente ridimensionata e certamente più debole dello scorso anno (via Pandev & Ledesma, arrivato Cruz...). E così mentre Lotito si arrovella nei suoi principi, anche giusti per carità - i contratti sono contratti - e nel suo latino sempre più maccheronico, la Lazio crolla come un debole castello di carte.
Nel maxi processo tutti chiedono la testa della Sensi alla Roma e quella di Ballardini alla Lazio: senza sapere che né l'una né l'altra drastica operazione risolverebbe da sola il problema. Per la Roma ci vorrebbe un compratore (anche se bisognerebbe abbassare le pretese e non tenere in ostaggio il club di una situazione fallimentare a monte) e per la Lazio una squadra vera. In poche settimane - ma dopo comunque un anno di purgatorio per entrambe, non va dimenticato - la Roma è tornata all'infausto periodo prespallettiano della salvezza raggiunta con quattro allenatori (Prandelli, Voeller, Delneri e Conti) e la Lazio al periodo decadente dell'ultimo Cragnotti.
Dopo aver passato le ultime settimane a parlare dei nuovi stadi alla Massimina e sulla Tiberina, questi ancora più inconsistenti dei pochi punti in classifica, Roma si trova a fare progetti nel deserto. Persino la sua allegra sbruffonaggine è ormai ridotta a zero. E così mentre le squadre scappano e si chiudono nei ritiri-bunker la radio gracchia: "Ma andate aff.... Manco la contestazione vi meritate".
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