Con l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea si aggiunge non solo e non tanto un nuovo Stato membro, ma si chiude un altro capitolo della tragica vicenda della ex-Jugoslavia. A distanza di due decenni, l’Europa mette il suo sigillo sulla stabilità in un’area che rappresentò, per il Vecchio Continente, una clamorosa sconfitta quanto all’obiettivo del mantenimento della pace e della convivenza tra popoli e culture diverse. Oggi la bandiera europea sventola accanto a quella croata a Zagabria. Ciò non può certamente sanare le ferite del passato, ma costituisce il segno di un capitolo nuovo nella tormentata storia della regione. Tuttavia né la Croazia, né la Slovenia membro ormai consolidato dell’Unione rappresentano, a voler essere precisi, due Paesi «balcanici». Croazia e Slovenia si collocano, infatti, in un contesto che è al contempo mediterraneo e mittel-europeo. I «conti» con i Balcani torneranno solo quando Paesi come la Serbia, la Bosnia-Herzegovina e l’Albania saranno anch’essi membri a pieno titolo dell’Unione. Ciò non implica alcuna sottovalutazione dell'ingresso della Croazia nella Ue, tutt'altro; essa pone una nuova sfida alla politica dell’allargamento, che per molti versi non appare più una priorità per un’Europa alle prese con la drammatica crisi dell’Eurozona, che rischia di ridimensionare drasticamente le ambizioni di «completamento» della costruzione europea.